venerdì 23 novembre 2012

Naming e pronuncia, un binomio fondamentale anche per le "neutre" sigle

Vi siete mai chiesti perché IBM o LG sono sigle e brand names che leggiamo all'italiana, mentre, nel caso della storica azienda tedesca AEG, ricorriamo quasi tutti a una poco familiare pronuncia tedesca, senza pensarci, in automatico, anche chi non ha mai fatto nemmeno la lezione numero 1 di tedesco sull'alfabeto? Eccoci catapultati nell'insidioso territorio-binomio di naming e pronuncia. Un nome che sia anche anche bello da vedere (magari per una simmetria interna di lettere) ma difficile da pronunciare, fosse anche soltanto in determinati paesi, può essere un nome problematico e da evitare. Questo è un fatto assai noto a chi si occupa di naming. Ma con le sigle come la mettiamo? Con le sigle, il problema della pronuncia si risolve alla base?

I nomi di aziende-brand espressi da una sigla sembrerebbero sfuggire a queste problematiche. Nella loro neutralità infatti si adattano e vengono plasmati a seconda dell'alfabeto fonetico di un determinato paese e di una data lingua che ne accoglie i prodotti (naturalmente si deve fare attenzione che la lettura della sigla non incappi in qualche suono-allusione poco desiderabile). Ci sono però delle eccezioni che hanno fatto a loro modo scuola e epoca. Questa situazione abbastanza diffusa di "metamorfosi della pronuncia della sigla-nome a seconda del paese" stava probabilmente stretta all'azienda tedesca AEG, che è riuscita a imporre (è proprio il caso di scrivere "imporre letteralmente") una pronuncia tedesca, con quella "ghe" finale così caratterizzante. Possiamo solo immaginare quale lavoro capillare, indefesso, metodico e costante sia stato necessario per imporre questa pronuncia a livello mondiale, affinché oggi AEG sia pronunciato alla stessa maniera a Roma come a Lisbona. Penso sarebbe interessante ricostruire il ruolo fondamentale di tutti gli attori della catena, dal top management dell'azienda al rivenditore di una lavatrice AEG, che quasi sempre la presenterà nel segmento premium assieme a una Miele (nome interessantissimo e strano, in grado di creare determinati cortocircuiti semantici, se si pensa al settore, ma pure efficaci sinergie come quando gioca in tandem col design del cestello a "nido d'ape"). Naturalmente a tutti è nota la motivazione principale di questo sforzo: attraverso quella G pronunciata "ghe" passa il paese del "made in", è veicolata la Germania, con tutte le sue connotazioni di affidabilità, qualità, durata, efficienza, tutte caratteristiche imprescindibili per un elettrodomestico. Insomma, la pronuncia di un nome rimane e rimarrà sempre un versante fondamentale della valutazione di un'operazione di naming, anche nel caso delle apparentemente innocue e neutre sigle.

sabato 17 novembre 2012

Il naming di un preservativo e lo strano caso della cittadina francese di Condom

"In questo grosso mercato di opinioni concorrenti / puoi pescarti un’idea tra le tante stravaganti / e poi ci sono le ricerche, tanti pensieri alternativi / che ti saltano addosso come le marche / dei preservativi." Cantava questo Giorgio Gaber nella sua canzone "C'è un'aria". In effetti facendo una ricerca su un fornitissimo sito di preservativi, dove poter confrontare sinotticamente tutte le scelte di naming per questo tipo di prodotti, possiamo capire cosa intendesse Gaber. Non mi soffermerò sulle peculiarità di questo prodotto parafarmaceutico venduto e distribuito nei luoghi e nelle modalità più improbabili, un tempo oggetto stesso di campagna di marketing e usato alla stregua di un gadget per "comunicare qualcosa". Rimango aderente al tema del blog e al fatto che stiamo parlando di un prodotto "tra gli altri" che ha determinate specificità, in quanto attorno a una "tecnologia" tutto sommato semplice si è scatenata una battaglia per il posizionamento e la differenziazione. Sono davvero tante le marche e le linee in questo settore. Non sto nemmeno qui a citarle tutte, anche se potrebbe essere un esercizio inedito per individuare mosse e contromosse di una battaglia di differenziazione che si gioca soprattutto sul naming, sul packaging, e sulle caratteristiche di costruzione, profumazione o "performance". Per chi pensa possa essere interessante, basterà monitorare questo settore a suo modo "vivace" e capire, di volta in volta, le ragioni che hanno condotto a una determita scelta di naming all'interno di una precisa strategia di marketing.

Ma l'occasione-"condom" è troppo ghiotta per non parlare della cittadina francese di Condom, nella regione Midi-Pyrénées, Gers, i cui cartelli stradali sono da sempre bersaglio degli scatti fotografici ilari dei turisti. Come potete apprendere da questa notizia, la faccenda si è spinta oltre, visto che due imprenditori francesi hanno pensato di usare questo toponimo per lanciare una marca che si autodefinisce nella pubblicità "The Original Condom Company". Peccato che i profilattici fossero prodotti in Malaysia e che l'indirizzo di residenza dell'azienda a Condom sia stato trovato inoccupato. Tutto si è risolto con una multa di diecimila euro. Anche se il sindaco della cittadina vorrebbe usare altre particolarità per spingere il turismo in quei luoghi, non può non dimenticare il toponimo che gli è toccato in sorte gestire. Questo resta un caso curioso di come un toponimo (in questo caso coincidente con il nome della product category) venga gettato nella mischia del naming e della competizione. La cosa che poi ha quasi del grottesco è che il fiume che passa per Condom si chiama
Baïse, parola che, senza dieresi, in francese viene usata per esprimere volgarmente l'atto sessuale. Insomma, un destino tutto strano quello di questa cittadina tra castelli e foreste sul fiume Baïse e di certo non ci stupiamo che a partire da questi nomi esistenti qualche imprenditore-storyteller abbia pensato di farci dei soldi.

giovedì 8 novembre 2012

Opel Mokka, naming d'auto coi memi?

Curioso e interessante il naming adottato da Opel per il "compact SUV" con il quale andrà a competere su questo segmento a quanto pare strategico. Ma non occupiamoci di vendite di auto (in questo periodo meglio evitare l'argomento) e rimaniamo al nome adottato. Quando ho visto la pubblicità con il nuovo nome, ho naturalmente pensato a quella moka per il caffè che ultimamente sembra perdere terreno a favore del caffè porzionato (alla faccia del refrain dell'ecostenibilità!). Wikipedia (esiste già la pagina Wikipedia del veicolo) recita "The Mokka name derives from the small, round coffee beans of the Coffea Arabica variety." Sembra chiaro il riferimento ai "memi" che forse hanno fatto definitivamente propendere per questa scelta. Si evoca quindi un chicco di caffè (caffè come qualcosa che dà la carica, ogni giorno, soprattutto nei momenti di stanchezza, di una bevanda sempre più "vincente" dei giorni nostri) e un "piccolo chicco", rimandando così alle dimensioni compatte di quest'auto, in una cornice da manuale di marketing in cui il nome serve soprattutto a posizionare il prodotto ("Your name is your most important weapon in the battle for the mind", sostenevano Ries e Trout).

Si tratta di un naming che suscita senz'altro curiosità, sorprendente e inatteso. Un buon nome può servire anche a tutte queste cose, a stupire. Non presenta particolari difficoltà di pronuncia e porta con sé valori positivi come energia, prestigio (quello legato alla varietà Arabica del caffè) e persino una certa rotondità di forme/design. In un articolo apparso sul sito Boldride.com leggiamo:

With all these features, the Mokka has been designed for people with active and refined lifestyles. This is also reflected in its name which is inspired by the small, round coffee beans of the prestigious Coffea Arabica variety. Mocha-based coffee beverages are sophisticated and cultivated, rich in character and full of energy. Just like them, the Opel Mokka is compact whilst big in attitude.

Il caso, nel suo complesso, è curioso perché mi ricorda chi ha provato a suggerire uno scenario in cui i "memi" di Richard Dawkins possono essere impiegati proficuamente in operazioni di naming. Provate anche a leggere questa pagina di Wikipedia. Forse il naming coi memi è già una realtà consolidata...

sabato 3 novembre 2012

Papageno, la rivista che col nome e col logo dice cibo, vino e Mozart

Tanti anni fa lavoravo in un'agenzia pubblicitaria. In quel frangente, tra i vari progetti, si stava lanciando una rivista di "saperi e sapori tra Adige e Danubio". Il concetto era circa questo: raccontare attraverso una rivista bilingue (italiano e tedesco), ineccepibile dal punto di vista grafico e fotografico e vestita dalla mano di bravi illustratori, i luoghi, i cibi e le bevande di quei luoghi che comunemente vanno sotto la denominazione di Alpe-Adria. Arrivai in agenzia a naming già compiuto. Mi fu spiegato sia il naming sia il logo. Li reputo ancor oggi esempi interessanti nel loro gioco combinato. "Papageno" è un personaggio dell'opera mozartiana Die Zauberflöte. Quasi mai, sinora, abbiamo parlato di letteratura, arte e musica come serbatoi per determinate operazioni di naming, eppure sono questi capitoli da conoscere, sviscerare e studiare. Qui abbiamo un esempio limpido di un naming "fornito" dalla storia della musica. Ciò che è doppiamente interessante in questa operazione di naming è la "sinergia" che si è creata (e che sempre si dovrebbe creare) tra naming e brand identity. Il logo della rivista, per il quale si è optato per un'elegante font con grazie, presenta la G ribassata al centro, al di sopra della quale è posta la silhouette dell'uccellatore Papageno. Ciò che tale accorgimento consente è la separazione del nome in due parti, da un lato PAPA e dall'altro ENO: ecco allora cibo e vino, due vettori importanti della linea editoriale e dei contenuti della rivista che ha ospitato, tra gli altri, contributi di Hans Kitzmüller, Predrag Matvejevic, Paolo Maurensig, Giorgio Pressburger e Mario Rigoni Stern.