giovedì 28 marzo 2013

Origine del nome di marca Pritt

La colla Pritt è nata nel 1969 e due anni dopo era già presente nei mercati di 38 paesi. A lanciarla fu Henkel. La grande innovazione di questo prodotto è sostanzialmente un'innovazione di packaging, visto che è il primo prodotto ad applicare il formato stick tipico del rossetto a una colla, seguito poi da moltissimi altri. La formula dello stick ampliò di molto le occasioni d'uso e la facilità d'uso della colla. Per quanto riguarda il naming, non sono riuscito a trovare documentazioni certe, ma Pritt ha tutta l'aria di essere il risultato di un'operazione di naming condotta con attenzione e grande scrupolo. Il nome presenta una sonorità secca, non ambigua o mutevole a seconda dei contesti geografici, è facilmente pronunciabile e memorizzabile (è uno strano monosillabo di ben 5 lettere con una caratteristica e iconica centralità vocalica), è assonante con "stick" e "print". La doppia "tt" finale agisce, fonosimbolicamente, a garantire una perfetta adesione e incollaggio. Operazione di naming felice e accurata quindi, non a caso nel giro di due anni dal lancio il prodotto aveva già conquistato tutti quei mercati. Sarebbe curioso, in una sorta di "archeologia del naming", scoprire le fasi, le ragioni, i movimenti di simili operazioni di naming che ormai risalgono a quarant'anni fa. Oggi, con il nome Pritt, vengono offerti altri prodotti di cancelleria. La brand extension è stata possibile anche grazie alla bontà complessiva dell'operazione di naming.

sabato 23 marzo 2013

LaFerrari, nome semplice e complesso ad un tempo per la nuova Ferrari

Non credo sia facile trovare il nome per una nuova Ferrari che prende il posto della Ferrari Enzo. Anzi, credo sia maledettamente complicato scegliere un nome che sintetizzi il lavoro che sta alla base della progettazione e della realizzazione di un'auto del genere, prodotta in 499 esemplari. Complicato perché suppongo che ogni volta ci si scontri con una storia e con la cosiddetta heritage di un brand stratosferico, conosciuto in tutto il mondo, forse uno dei brand più noti in assoluto, un brand che ho sentito pronunciare quasi bene persino da persone cinesi, nonostante le tre "r" che ha al suo interno! Per scegliere un nome in casa Ferrari credo insomma serva una buona dose di pazienza e di consapevolezza della lunga, delicata storia che il cavallino ha alle spalle. I paletti per le operazioni di naming diventano quindi più grandi, anche se non è detto che non si possano aggirare con la creatività. Si sa che un nome "sbagliato" farebbe discutere, il nuovo nome non può permettersi di scontentare, deve essere giustificabile e giustificato. Probabilmente un nome in casa Ferrari non potrà mai essere provocatorio o esagerato, bensì calibrato all'interno di un cosmo (e quindi un universo ordinato) che ha regole ferree, non solo ingegneristiche ma pure cromatiche (rosso, nero, giallo ma anche bianco e verde). Queste mie convinzioni sulla difficoltà delle operazioni di naming nel caso dei brand più blasonati hanno trovato conferma in una battuta di Montezemolo dedicata proprio agli ultimi nomi scelti dalla casa di Maranello e raccolta in un'intervista apparsa su Omniauto:

"Ho voluto scegliere personalmente tutti i nomi: F50 era importante perché era la prima macchina della mia gestione dopo la F40 e volevo dare un segnale di continuità. La Enzo era la vettura più innovativa del momento e l’ho voluta dedicare al nostro fondatore, ricordando anche il ciclo di successi nel mondiale di F.1 nei primi anni del 2000. E dopo aver chiamato una vettura Enzo, era difficile dare un nome alla successiva: siccome non potevamo chiamarla Dio, allora ho scelto il nome LaFerrari, perché volevamo dare la sensazione di eccellenza: non è una Ferrari, ma LaFerrari, la summa di tutto quello che è la nostra azienda. Ed è l’antesignana di ciò che nei prossimi anni cinque o dieci anni trasferiremo sulle nostre vetture del futuro".

In retorica il nome LaFerrari potrebbe essere definito tautologia: ripete, ribadisce qualcosa di già noto senza aggiungere nulla. Questo almeno in apparenza. Eppure LaFerrari è un nome che innova, inserendo l'articolo determinativo davanti al brand "Ferrari" e generando una parola nuova così vicina al brand name d'origine. Una parola-nome vicina eppure non sovrapponibile. Quest'operazione dà origine ad una serie importante di apparati comunicativi, come il logo e il nome di dominio del sito dedicato al lancio mondiale, che è appunto laferrari.com. Cosa imparare da questo? Mai fidarsi delle apparenze: anche un nome apparentemente semplice, che sembra quasi rinunciatario, in realtà è il risultato di approfondite riflessioni sul naming, tanto più se il nome da salvaguardare è Ferrari.

mercoledì 20 marzo 2013

Origine del nome di marca Rossana Perugina

Il gusto di una caramella può occupare una parte non trascurabile della nostra memoria. Così magari è successo ai tanti fan della caramella Rossana di Perugina, la cui origine risale al lontano 1926. La caramella dall'inconfondibile incarto rosso vintage e dal color crema e da quell'inconfondibile e indefinibile gusto è uno dei successi più duraturi. Tutti potrebbero immaginare che il nome sia omaggio al colore rosso dell'incarto o a qualche Rossana che magari ha fatto girar la testa all'inventore della formula del ripieno. Invece si narra che il nome sia omaggio al personaggio di Roxanne in Cyrano de Bergerac.

Qui accanto trovate una storica pubblicità del brand Rossana. Il prodotto è quasi del tutto immutato (è cambiato il lettering del logo, che ha abbandonato grazie goticheggianti). La bambina dell'illustrazione afferma "Anche a me piacciono tanto le caramelle Rossana che papà porta sempre alla mamma". Il tutto si chiude con "...il dono delle ore liete", subliminale rimando ad un altro prodotto in portafoglio Perugina. Curioso... Chi, tra quelli della mia età, non ha visto girar per casa una scatola di latta come quella della foto? Sono tutti nomi che magari oggi non si sentono molto nominare, ma costituiscono brand names con una storia molto lunga alle spalle, la quale tutt'oggi perdura. Ed è un puro caso che questo appuntamento di ricerca delle origini dei nomi di marca sia partito con Haribo e prosegua all'insegna delle caramelle e dei dolciumi... non sono affatto un patito di caramelle. Di dolci sì, quelli sì. E il settore alimentare resta comunque, a mio avviso, uno di quelli più interessanti da monitorare in ottica naming...




mercoledì 13 marzo 2013

Inkulator ovvero sul naming di una app

Ringrazio l'amico Diego Pescarini, linguista dell'Università di Padova, che mi ha segnalato questo godibilissimo naming di app di Microsoft. C'è poco da dire, almeno per noi italiani. Si legge nel sito: "inkulator is a cool new way to do your calculations. All you do is write your basic math expression on the inkulator screen and it will calculate the results for you! How cool is that? It's time to show off to your friends!". Funzionalità? "Calculator, Hand written Math expression detection". Il logo che si trova in rete sembra evidenziare la genesi del nome, dalle parole "LINK" (o INK?) e "calcULATOR". Nessuno deve però aver avvisato i creativi dei significati non troppo reconditi dell'italiano. Tutto questo per dire che anche nel (fiorente?) mercato delle app bisognerebbe iniziare a prestare più attenzione al naming. Qualcuno, riferendosi a questo caso, si diverte già a parlare di "garanzia nel nome"...

sabato 9 marzo 2013

Bookworm, l'iconica e ironica libreria di Kartell

Kartell è senza dubbio una delle aziende più iconiche della storia del nostro design. Il matrimonio felice tra quest'azienda di Noviglio e la plastica è stato celebrato anche da un altrettanto iconico volume edito da Taschen e intitolato Kartell. The Culture of Plastics. Difficile che non vi sia mai capitato di sedervi su una spolveratissima sedia Kartell. Tuttavia non è di sedie che vi voglio parlare ma della libreria "a metro" che potete vedere anche qui accanto. Questo scaffale serpeggiante, che sotto certi aspetti contraddice (per poi però esaltarla nel principio della vendita a metro) la serialità del design industriale, è opera del 1997 del designer israeliano Ron Arad. L'originalità non è tutta nel concetto, ma anche nel naming. "Bookworm" rimanda al verme dei libri (una strategia di naming simile si ravvisa nel social network librario Anobii che va a prestito dal latino, Anobium punctatum, il "tarlo della carta"). Eppure questo nome è doppio, come un Giano bifronte. Da un lato, ironicamente, guarda al verme-tarlo dei libri e dall'altro lato, in modo più diretto, rinvia alla forma sinuosa dello "scaffale curvo", quasi una contraddizione nei termini, qualcosa di inimmaginabile senza l'utilizzo creativo della plastica. Si può spesso cogliere dell'ironia nel naming dei pezzi storici del design italiano e credo che questo dato sia un elemento positivo. (Per capire a quali sedie mi riferivo, il sito Kartell è qui.) E il nome di quest'azienda da dove deriva? L'origine pare incerta, forse da rintracciare in un gioco di lettere coi cognomi dei fondatori, Castelli e Rastelli.

venerdì 1 marzo 2013

Origine del nome di marca Haribo

Spesso i nomi che popolano le nostre giornate hanno origini sconosciute. Si è perso di vista perché una marca ha quel determinato nome e non un altro (e diciamocelo, agli addetti del marketing spesso fa gioco celare l'origine di un nome). Un nome nasce e nasceva spesso da uno sforzo di immaginazione che poi l'uso e l'advertising, attraverso i decenni, disperdeva, trasformando la parola-nome in qualcosa di familiare, fino a farla vivere come qualcosa di pienamente autonomo e sganciato dalle origini. Incomincio oggi una snella rubrica del blog volta a portare a galla le origini di determinati brand names, possibilmente vitali ancor oggi (ma potrebbe esser interessante anche ripescare brand names scomparsi o in attesa di rivitalizzazione, come spesso accade). Ricordare l'origine di un naming è qualcosa che ho già fatto (penso ad esempio al post su Schweppes), ma da ora inizio a farlo all'interno di questa rubrica un po' più sistematicamente. Detto fra noi, non è nemmeno un gran momento per il naming, almeno così mi pare (poca visione, pochi investimenti, poco coraggio, pochi nomi nuovi sui quali valga la pena spendere qualche ragionamento, forse anche perché c'è un alto tasso di natalità e mortalità di nomi e non abbiamo nemmeno il tempo per accorgerci di quel che ci passa sotto il naso). Meglio curiosare indietro, consapevoli che in fondo un nome è un segno che le aziende hanno creato e gestito all'interno della vita della marca e quindi nel tempo. Questi post potranno costituire l'occasione per divagare attorno al brand name scelto o per allargarsi alle strategie di marca, in limitati casi, sempre restando brevi. L'obbiettivo principale però sarà scoprire assieme l'arcano che sta dietro a dei segni che sono diventati parole delle nostre giornate.


Quando entri in certi alberghi trovi sul comodino o sul cuscino il sacchettino minuscolo di caramelle. In Germania queste sono rigorosamente Haribo. Un segno di benvenuto, non solo per i bambini (coerentemente con lo slogan storico). La cosa più curiosa è stato trovare un distributore di caramelle Haribo dentro un negozio ultraspecializzato di prodotti per skaters e skateparks in una località Svizzera. Lì ho capito che la caramella gommosa era diventata un tic "virale" tra gli adolescenti che amavano andare con lo stunt scooter e costituiva l'unico genere alimentare in un negozio che vendeva soltanto monopattini, rotelle, manopole, forcelle, grip tapes e altri pezzi di ricambio. Un tormentone insomma.

Haribo sta per Ha-ns Ri-egel Bo-nn, il nome del fondatore e il luogo di nascita di questo prodotto che ha conquistato il mondo, fino a diventare quasi sinonimo di caramella gommosa e colorata. Uno sguardo alla pagina Wikipedia dedicata al brand vi mostrerà come il celebre slogan "Haribo macht Kinder froh – und Erwachsene ebenso" (Haribo fa felici i bambini e, allo stesso modo, gli adulti) sia stato tradotto ingegnosamente in più lingue. Il nome trisillabico dona una certa cadenza e ritmo a un prodotto che va masticato, succhiato lentamente. In italiano risulta felice il finale in -bo, che richiama valori del prodotto come "bontà" ma in fondo anche la stessa "bocca". Azzeccato anche il terzetto vocalico, che nella pronuncia del nome fa aprire e chiudere la bocca con diverse ampiezze.

La domanda che mi faccio in simili casi è questa: il brand dell'orsacchiotto ha un nome che nasce in fondo da un meccanismo di acronimo forse banale e assai diffuso (anche se già la scelta di fare l'acronimo con delle sillabe e non con le sole iniziali è curiosa, innovativa e premiante) e la risultante finale è una parola rotonda e completa, che ben ha accompagnato la crescita di quest'azienda. In ultima analisi, pur rimanendo un acronimo, Haribo è un antesignano degli attuali "nomi coniati" o "di pura fantasia". Oggi come si comporterebbe un'azienda che prova a mettersi in gelatinosa concorrenza con Haribo? Mah... anzi... boh...