lunedì 29 dicembre 2014

Da YouSendIt a Hightail: il renaming quando il nome vecchio sta stretto

Sarà perché ha preso piede WeTransfer, almeno qui da noi, ma mi ero perso il renaming di questo servizio cloud per la spedizione e condivisione di file. In realtà YouSendIt fu il primo servizio del genere che scoprii e usai su suggerimento di conoscenti americani e ricordo che all'epoca mi colpì per quel naming così descrittivo che sembra ispirare molte denominazioni per il web (e in fondo lo stesso nome WeTransfer, a ben vedere). Ora però con Hightail qualcosa pare cambiato e ne troviamo conferma anche in questo articolo dove vengono riportate alcune dichiarazioni del CEO, Brad Garlinghouse. Il renaming è avvenuto con il contributo dell'agenzia Siegel+Gale. Tale operazione di renaming, comprese le importanti premesse che l'hanno fatta scattare, è ben spiegata qui.

domenica 21 dicembre 2014

Otto princìpi di naming secondo Landor

Di Landor ho già parlato. Tempo fa ho anche intervistato Antonio Marazza, general manager della filiale italiana, qui. In questa piccola sezione che vado costruendo attorno a risorse sul naming vorrei oggi dar risalto a questo video intitolato "Landor Brandfeed: Eight principles of naming". Si ripercorrono in modo semplice e immediato le linee guida che dovrebbero ispirare e condurre qualsiasi scelta strategica di naming. Il video è con Matt Gordon, risorsa del Landor di stanza nella filiale di Chicago. I contenuti del video sono fruibili anche come articolo a questo link. In giro per la rete si scovano spesso contenuti del genere (anche se riconoscerete la superiore fattura di certi rispetto ad altri) e, per quanto semplificati e votati a elencare dei principi generali in una materia che si presta anche a notevoli complessità, questo tipo di risorse svolge bene la propria funzione di introduzione alla materia per chi ne è digiuno ma anche, agli occhi di chi un po' la conosce e la studia, una mai banale funzione di "ripasso".

Landor Brandfeed: Eight principles of naming from Landor Associates on Vimeo.

lunedì 15 dicembre 2014

tiptoi® di Ravensburger

Non solo puzzle. La storica azienda tedesca Ravensburger di Ravensburg, fondata nel 1883, presenta nei vari paesi del mondo dov'è distribuita tiptoi®, ovvero "un nuovissimo lettore digitale interattivo che consente ai bambini di scoprire il mondo in maniera divertente e autonoma. Nel momento in cui il bambino punta il lettore su un'immagine o un testo, potrà sentire suoni realistici, simpatiche filastrocche e tante interessanti notizie", insomma, come si apprende sempre dal sito italiano dell'azienda, tiptoi® è "il sistema d’apprendimento audio-digitale per libri, puzzle, giochi e giocattoli". Dal punto di vista del naming si è adottato un nome internazionale che sicuramente richiama l'inglese. Le due parole che compongono sono "tip" (interessante il gioco tra "suggerimento" e "punta", entrambi termini con i quali si potrebbe tradurre la parola "tip") e "toi" (che richiama naturalmente "toy"). Evidente il gioco sulla consonante "t". Forse è ricercato il finale in -oi che evoca un nome di console famosa quale fu il "Game Boy". Chissà però se in Francia questo nome presta il fianco a qualche pronuncia ambigua...

lunedì 8 dicembre 2014

Nutella B-ready

Ne ha già parlato, come al solito brillantemente, Linda Liguori nel blog del suo sito, qui per la precisione. Riprendiamo questo nuovo prodotto di Ferrero per provare a dire anche qualcos'altro rispetto a quanto è già stato scritto e leggiamo dal sito: "Nutella B-ready è un prodotto unico che unisce alla croccantezza dell'innovativa cialda di pane tutta la cremosità e il gusto inimitabile di Nutella". L'ho provato, è buono. La Nutella è la Nutella, e la cialda sta davvero bene assieme. Anche Nutella naturalmente diversifica e lo fa da tempo. Fedele al motto-icona di "pane e nutella" adotta un nome dal suono inglese che ha ovviamente una duplice valenza, quella del pane appunto, "bready", visto che tale parola significa anche "having the appearance or texture of bread" e "containing bread". Ovviamente il gioco, anche a livello grafico, nel logo, sta sul "B-ready", ovvero "be ready": sii pronto. Ritorna qui il filone (mito?) della portabilità e mobilità del cibo sempre pronto a tappare buchi o voragini di fame improvvisa (quanta comunicazione si è giocata su tale aspetto?). Forse però quello della portabilità del cibo è un mito meno pulsante di un tempo. Per prima cosa certi cibi portatili appena messi in borsa o nello zaino diventano un ammasso di briciole o una sottiletta che unge solo l'involucro. E poi non c'è forse nemmeno tutta questa necessità di rimarcare la portabilità/mobilità/prontezza all'uso del cibo. Anche una scatoletta di tonno, un tempo ritenuta dai guru della grande distribuzione come esempio paradigmatico di "prodotto di servizio" forse non è più tale. Forse anche su simili operazioni di naming converrebbe provare a osare di più, tanto più se il prodotto è davvero buono.

domenica 30 novembre 2014

Chiamare un formato di pasta "radiatori"

Più aziende produttrici di pasta hanno adottato il nome "Radiatori" per il formato di pasta che vedete in foto. Tra poco citeremo De Cecco, ma si potrebbe fare anche il nome de La Molisana. Naturalmente il nome di un formato di pasta spesso non si discute, in quanto ha (o dovrebbe avere) a che fare con una tradizione più o meno sedimentata. Resta il fatto che, per come si sviluppa la struttura nominale di un prodotto nello specifico settore merceologico della pasta, ogni singolo nome assume un certo peso. Pensate a Barilla, dove potete trovare il "secondo" brand di Emiliane e poi un'ulteriore denominazione, in una struttura nominale tripartita. E molte aziende pensano anche di trasformare in brand il nome del formato più o meno innovativo di un determinato tipo di pasta. Siamo nell'ambito, tutto in divenire e assai curioso, del "food design". Tuttavia, io credo che resti anche il fatto che per molti consumatori il nome "Radiatori" non potrà apparire particolarmente seducente. Per curiosità vi copio il testo che De Cecco propone nel proprio sito (ma molte altre sono le aziende a proporre questo formato): "Molti formati di pasta si ispirano al mondo della meccanica e dell’industria automobilistica, come le ruote o le lancette. Anche i radiatori nascono da questa tradizione e presentano un design a forma di cilindro con le alette ondulate la cui forma trattiene molto bene i sughi." Leggiamo "ruote" e "lancette". Ecco, è vero che anche ruote e lancette hanno a che fare con il mondo della meccanica, però forse è diverso l'appeal che tali nomi hanno, se paragonato a quello di "radiatori". Anche questo sarebbe un pensiero da verificare. Voi cosa ne pensate?

lunedì 24 novembre 2014

Il nome Cactus per la nuova Citroën C4

Sicuramente il design è di rottura, come nell'indole storica del brand Citroën. Ma non è il design che ci interessa, anche se sicuramente il rapporto che si crea tra design e naming è qualcosa di interessante da monitorare (ad esempio, non di rado un naming rinunciatario depotenzia un design innovativo). Per questa nuova auto c'è un nome nel nome, ovvero gli Airbump, la tecnologia dei nuovi alveoli-paraurti morbidi immediatamente visibili sulla carrozzeria e fortemente caratterizzanti. L'estetica del Pluriball ha fatto il suo ingresso nel mondo dell'auto tanto che questa è stata definita "first bubble-wrapped car". Il progetto si inserisce nella sedimentata gamma C4 con il nome di "Cactus". Perché Cactus? Probabilmente, così come le spine dei cactus e delle piante grasse in genere servono a proteggere, anche l'innovazione degli Airbump serve a proteggere e questo si è voluto comunicare con il nome Cactus. Sicuramente si è previlegiato l'aspetto protettivo delle spine dei Cactus, non quello "offensivo" (pungono anche, in fin dei conti), anche perché quelle cellule morbide, alla vista, appaiono da subito inoffensive. Penso sia comunque un segnale che evidenzia ancora una comunicazione incentrata sulla sicurezza di chi sta nell'abitacolo. Verrà probabilmente il momento di una macchina "altruista", che concentrerà la propria attenzione comunicativa (e magari il proprio nome) sulla protezione di chi sta fuori dall'abitacolo, a passeggiare o a correre, in bici, in scooter o in un'altra auto. Potrebbe essere un'interessante strategia comunicativa nell'affollatissimo mondo delle promesse pubblicitarie lanciate dalle nuove auto.

domenica 16 novembre 2014

Con l'ereader tolino non si legge solo Topolino

Sta decisamente al di fuori dalla folla dei nomi degli ebook reader questo tolino. Se pensiamo ai vari Kindle e Kobo ci rendiamo conto che almeno per noi italiani ha un suono decisamente nuovo. Recentemente ne abbiamo sentito parlare per l'accordo che Deutsche Telekom ha stretto con ibs.it (potete leggere qualcosa qui). Il "Kindle tedesco", come qualche giornalista l'ha presto ribattezzato, si inserisce in una scia di pensieri che attanaglia il vecchio continente: i grandi colossi come Google e Amazon iniziano ad avere troppo potere e anche certe iniziative europee di digitalizzazione in ambito culturale sono evidentemente una risposta alle strategie di digitalizzazione del patrimonio librario operate da Google, quasi una risposta politica alla percezione di un rischio di una nuova imminente colonizzazione dell'immaginario. Con Amazon non siamo da meno. Il gigante fondato da Jeff Bezos spaventa molti e fa discutere per più motivi (di pochi giorni fa è la pubblicazione dei dati di bilancio che ha fatto piovere vendite del titolo sullo sfondo di un outlook deludente). Il nostro ereader tolino, con l'iniziale minuscola, mi pare susciti una qualche curiosità sin dal nome, oltre che per il suo porsi come "concorrenza" salutare. Si è attestato inizialmente in un mercato germanofono e ora, con l'arrivo in Italia, è facile che al nostro orecchio (orecchio di lettori di Topolino!) ricordi davvero quel fumetto, in un modo quasi appiccicoso. Resta fortemente caratterizzante il finale in -ino, che in italiano rimanda sempre al diminutivo, a cose piccole quindi (aspetto positivo per un dispositivo portatile, ma da tenere monitorato in ottica di percezione del brand tolino).

domenica 9 novembre 2014

Origine del nome di marca Life Savers (le Polo americane "salvagente")

Leggendo una nota biografia sul poeta Hart Crane mi sono imbattuto sulle caramelle "di famiglia", le Life Savers. Hart Crane era infatti figlio del caramellaio Clarence Crane che si inventò, con l'aiuto di un farmacista, queste caramelle col buco, simili alle nostre Polo, che dovevano avere la prerogativa di non sciogliersi in estate. Sono un interessante esempio di naming che deriva dal food design. In parte abbiamo parlato di qualcosa di simile per un prodotto analogo, i Chupa-Chups e una situazione simile si ravvisa in tanti naming di formati di pasta. La caramella risultante presente una chiara forma a "salvagente". Il fatto che queste caramelle fossero vendute come mentine per l'alito (vedi il caso Mental, ad esempio) aggiunge altre implicazioni interessanti a questo nome. Tra le "curiosità" della pagina Wikipedia leggiamo che "Il nome Life Savers deriva dalla particolare forma dei salvagenti bianchi che diventarono obbligatori sulle navi in seguito al disastro del Titanic nel 1912. È probabile che l'inventore abbia attribuito questo nome in seguito alla morte del figlio avvenuta per soffocamento da caramella e per evitare che altri bambini facessero la stessa fine", e inoltre che "lo slogan iniziale recitava For That Stormy Breath e offriva una soluzione per migliorare un alito tempestoso" fino allo slogan attuale che "recita A hole lot of fun, che in inglese è un gioco di parole in quanto "a whole lot of fun" significa "un sacco di divertimento" e cambiando la parola "whole" con "hole" si ottiene "un buco di divertimento".

domenica 2 novembre 2014

La parola "pedibus" e l'ecologia di facciata

"Pedibus" è una parola di origine latina al caso ablativo che ormai si è imposta nel mondo scolastico per indicare queste cordate di bambini che, accompagnati da adulti, raggiungono la scuola. Richiama il latino per "piedi", ricorda nella parte finale il "bus", con uno sbandierato piglio ecologico (a dire il vero oggi esisterebbero anche bus "ecologici", insomma non ci sono soltanto i bus e i pulmini che ti soffocano con una zaffata scura di gasolio). Si tratta di una parola che si è ormai diffusa, quasi un brand insomma. L'aspetto di ecologia però si frantuma in giornate come quella di Halloween. Nella scuola elementare dove va mio figlio i bambini del pedibus, accompagnati da mamme con cappello conico in cartone da strega, hanno lanciato in aria decine di palloncini gonfiati a elio che inevitabilmente si depositeranno a inquinare da qualche parte. Ecco, queste sono le ipocrisie e l'ecologia di facciata sbandierata da una parola di successo e diffusasi rapidamente. "Ahi serva Italia, di dolore ostello".

lunedì 27 ottobre 2014

"La sagra" di McDonald's

Se c'è qualcosa che non conosce crisi nel nostro paese è il fenomeno delle sagre. Ormai siamo alla lotta/concorrenza senza quartiere, persino nelle denominazioni secredenti fantasiose di queste manifestazioni paesane. Una tregua sembra di solito giungere durante la stagione invernale, ed ecco che allora, con tempismo perfetto, arriva per i nostalgici delle tavolate scomode e delle posate in plastica il panino "La sagra" di McDonald. L'operazione è quasi tutta nel naming e nel prodotto, oltre che nel time-to-market. Il risultato è un panino che esula dalle classiche "forme" e ingredienti del colosso della M gialla e che vorrebbe far venire l'acquolina in bocca all'italico palato. Sono note le difficoltà di McDonald di incontrare certi gusti del palato italiano e allora, obbedienti alla formuletta del think global act local ecco arrivare, dopo il panino McItaly di cui abbiamo già parlato qui, il più casereccio panino "La sagra". Anziché fare come tanti ristoratori che si lamentano della concorrenza non sempre paritaria delle sagre, la multinazionale di Oak Brook ha pensato di non lamentarsi, ma semplicemente di impossessarsi e di trasformare in brand il concetto di "sagra" tanto amato dagli italiani. Al di là degli ingredienti e del panino-brand-risultante, riconoscerete che buona parte di questa operazione sta tutta nel naming.

lunedì 20 ottobre 2014

SAP. Ci sono acronimi e acronimi

Ho già espresso perplessità per gli acronimi che diventano brand name (a dire il vero soprattutto perplessità per il loro furoreggiare in ambito museale). A tutti è nota la multinazionale del software SAP. Ecco un acronimo che in realtà, in inglese, ha pure accezioni molto positive come "linfa". Per quanto riguarda la gestione del brand name ad un livello internazionale ci si è preoccupati, più che altro, di preservare una leggibilità dell'acronimo in almeno altre due lingue, italiano e inglese. Ecco infatti cosa recita la pagina di Wikipedia con riferimento al nome:

L'acronimo SAP significa "Systeme, Anwendungen, Produkte in der Datenverarbeitung". La leggibilità dell'acronimo è possibile in altre due lingue: quella inglese in quanto corrisponde a "Systems, Applications and Products in data processing" e italiana "Sistemi, Applicazioni e Prodotti nell'elaborazione dati".

domenica 12 ottobre 2014

Ancora sul naming delle collane editoriali

Durante il convegno dedicato al poeta Andrea Zanzotto conclusosi oggi si è ricordato un episodio di ambito prettamente editoriale. Si trattava di una lettera nella quale il poeta si lamentava e prendeva decisamente le distanze dall'eventualità di essere inserito all'interno di una collana mondadoriana che doveva prendere la denominazione di "Sibilla" (o "Sibille", chiedo scusa ma non ricordo esattamente). Il plurale o singolare in questo nostro contesto, per stavolta, poco contano. Interessa di più mostrare un paio di aspetti: il costrutto di collana e il problema legato ai nomi delle collane editoriali come principali strumenti di creazione di identità e marchio e, in seconda battuta, l'attenzione posta dagli autori ai contenitori delle loro opere/prodotti di ingegno. Nella fattispecie Zanzotto, all'epoca in odor di postermetismo e intenzionato a prendere le distanze da quella stagione poetica e soprattutto da quel percepito, di certo non gradiva l'inserimento di una propria opera all'interno di una collana dal naming particolarmente ermetico. Insomma, neanche l'editoria-brand è un invenzione degli ultimi decenni e si può dire che in questi ultimi tempi ha provato solo a perfezionarsi. E pure gli autori hanno sempre saputo questo.

domenica 5 ottobre 2014

Reset di Vigorsol: un nome che cerca di spostare il solito posizionamento dei chewing gum

Torniamo a parlare di un concetto fondamentale come quello di posizionamento e, ovviamente, di naming e posizionamento. Siamo abituati da anni a chewing gum che coi loro nomi, il packaging e la comunicazione pubblicitaria ricercano un posizionamento nei territori della freschezza. Alito e bocca freschi sono pertanto immagini e quindi posizionamenti ricercati e per tanti versi abusati, fino agli esiti parossistici ma anche simpatici di certi spot televisivi. Se però Vigorsol opta per un nome come Reset significa forse che tale posizionamento non è più desiderabile come un tempo. A dire il vero, come si ricava dall'immagine della confezione qui accanto, non è del tutto vero, dato che di freschezza si continua a scrivere. Eppure un nome come Reset sembra spingersi oltre, verso un territorio estremo di pulizia e purezza attorno al quale il consumo di chewing gum sta cercando di costruire le basi del suo successo a venire, quasi a marcare un bisogno inconscio di resettare e mondare bocca e altre cavità dopo il passaggio del bolo.

lunedì 29 settembre 2014

Che cosa mi aiuta a trovare un nome? Il saccheggio dei dizionari (e casi al limite)

Chi si occupa di creare nomi per nuovi prodotti, marche o aziende sa bene che le sorgenti di ispirazione  - più banalmente gli scrigni dove potrebbe celarsi il nome che si sta cercando - sono molteplici. Anche una vecchia enciclopedia de "I Quindici" potrebbe rivelarsi un prezioso alleato che nasconde il nome che cerchiamo, così come un dizionario di sanscrito, oppure un romanzo in danese, oppure l'enciclopedia di astronomia. Sono alcuni fra i tanti possibili alleati che possono funzionare all'occorenza meglio di una ricerca su Google. I dizionari delle lingue ad esempio sono da tempo saccheggiati dai cercatori di nomi e ci sono casi limite come quello ben noto illustrato dalla foto sopra: due lingue, il tedesco e lo spagnolo, una anglosassone l'altra latina, sono accostate per creare l'identità nominale del prodotto. Questo esempio mi è utile perché mostra quale duttilità contraddistingua la nostra materia del brand naming.

lunedì 22 settembre 2014

Origine del nome Caterpillar (e CAT)

Quasi tutti abbiamo in mente il marchio CAT che si vede anche nella foto qui accanto, forse il marchio più noto tra i macchinari per il movimento della terra e l'estrazione mineraria. Sgombriamo il terreno da dubbi: CAT, anche se effettivamente lo è, non sta per un'abbreviazione dell'azienda Caterpillar ma è uno dei marchi in portafoglio dell'azienda. L'origine del nome Caterpillar (ennesimo nome di ispirazione animale nel mondo delle macchine) è presto spiegata: nella lingua inglese "caterpillar" significa bruco ed è il nome che venne in mente al fotografo Charles Clements oltre cento anni fa, mentre osservava i primi macchinari all'opera. Un piccolo e interessante post (in inglese) sulla storia delle denominazioni di questa azienda americana si trova qui. Da bruco a gatto, in sostanza, da Caterpillar a Cat.

lunedì 15 settembre 2014

Resistere alla tentazione del naming: Apple Watch (e non iWatch)

Che succede? L'azienda citata in ogni libro di branding e naming oggi non fa più i nomi. D'accordo, non esageriamo, in qualche modo l'azienda continua a dare nomi ai propri prodotti ma è evidente che quando Apple lancia un nuovo prodotto resiste alla tentazione di dargli un nome distintivo. Era stato così con iPhone e iPad, semplici parole descrittive della lingua inglese precedute da una lettera "i" minuscola. Il nuovo nato, l'oggetto dei desideri di queste ultime settimane, non si chiamerà iWatch come qualcuno ha erroneamente pensato e scritto, ma Apple Watch. Questa strategia di naming minimale dell'azienda di Cupertino continua a corrispondere a un'aspirazione molto semplice, ovvero quella di voler scrivere (o riscrivere) le regole in ogni categoria merceologica in cui questo brand posi le mani. Pare comunque che il desiderio fosse continuare con la stringa di nomi inizianti per "i" ma si corresse il rischio di incappare in qualche problema legale, come si legge in questo post del blog del NYT.

lunedì 8 settembre 2014

Alle origini del nome Uber

Da mesi, anche in Europa, si fa un gran parlare di Uber, il servizio che fornisce un trasporto privato in auto e che trova in una app su dispositivi mobile la propria base di erogazione, così da mettere in collegamento autisti e passeggeri. Se ne fa un gran parlare per ovvi motivi, visto lo scompiglio che tale azienda ha creato nel mondo dei tassisti. In Italia se ne sente parlare meno forse, se escludiamo le grandi città come Milano. L'azienda di San Francisco merita comunque attenzione e quella che le riserva un blog del genere è dedicata al nome: semplice, facile, diretto. Il servizio originario lanciato dall'azienda si chiamava UberBlack, dal colore nero delle berline utilizzate per un servizio di trasporto posizionato in fascia alta. Ancora oggi Uber funziona da prefisso nelle denominazioni dei servizi: UberX, UberSUV, UberTAXI, UberLUX. L'azienda originariamente aveva preso il nome di UberCab, poi abbreviato in Uber. Più semplice, internazionale, diretto e persino pronto per eventuali estensioni della gamma dei servizi, in quanto ripulito della particella "cab" che poteva limitarne l'immaginario. In fondo la parola "Uber" potrebbe diventare sinomino di qualsiasi soluzione nuova e magari anche controversa e contestata per muovere le persone. Già "Uber" è diventato verbo, sembrerebbe. In questa pagina, tra le altre cose leggiamo:

- The word Uber has long time been a synonym used in the West to mean BIG or AWESOME. By naming the company this, the founders had a lot to live up to and risked being a company with an ironic name
- ‘Uber’ has now become a verb. “How are you getting home tonight man?” “Oh, I’ll just Uber it – chilled.” THIS IS POWERFUL


E noi? Noi aspettiamo il nuovo Robert De Niro di Uber... 
Questo il sito dell'azienda.

lunedì 1 settembre 2014

Un scopa elettrica sinuosa? Synua di Hoover

Dal pieghevole promozionale: "Synua è dotata di un tubo flessibile estensibile incorporato e di una vasta serie di pratici accessori che permettono di pulire tutte le superfici della casa, fino agli angoli più difficili da raggiungere. Synua assicura massima flessibilità, facilità e immediatezza d’uso, grazie alle sue dotazioni tutte a portata di mano. Finalmente, con la nuova rivoluzionaria scopa di Hoover, la pulizia della casa diventa più semplice ed evita posizioni poco naturali che generalmente si assumono con una scopa elettrica tradizionale." Una "scopa elettrica" sinuosa, sembra questo il segreto dietro questo naming di Hoover che ci pare azzeccato. Esiste la parola in inglese ed è "sinuous". Curioso invece l'espediente, a dire il vero già registrato in altre situazioni, di sostituire la lettera "i" con una "y".

sabato 23 agosto 2014

L'intelligenza di Annamaria Testa prestata al naming

Chi si occupa di comunicazione, creatività e pubblicità avrà prima o poi intercettato il nome di Annamaria Testa, di cui qui potrete trovare una rapida carrellata dei libri che ha scritto. Recentemente si è occupata di nomi e naming per il settimanale "Internazionale" e sono state tre puntate molto interessanti all'interno della sua rubrica abituale. Chi se le fosse perse ora può leggerle nel sito della rivista. A questo link trovate tutte i contributi. Nelle date del 27 maggio, 3 giugno e 9 giugno trovate quelli dedicati specificatamente al naming e ai nomi. Credo meriti particolare attenzione il passo in cui ricorda come le grandi marche siano spesso soprannominate (ad esempio Chevrolet che diventa Chevy) e le misure che il management prende contro questa deriva nella quale molti di noi magari non vedono nulla di male. (In alto trovate la copertina di un noto suo libro, La parola immaginata. Teoria, tecnica e pratica del lavoro di copywriter da poco riproposto dalla casa editrice Il Saggiatore.)

mercoledì 20 agosto 2014

Risorse: suggerimenti per cercare nuovi nomi in "33 Tips & Tactics for Generating Names" di Steve Rivkin

Sempre ricco di spunti e cose utili è il blog di Steve Rivkin. Stavolta ci offre il suo "33 Tips & Tactics for Generating Names" in versione aggiornata. Il vademecum era già infatti disponibile da qualche anno. Ora la versione arricchita è resa possibile grazie alla collaborazione tra Rivkin e la rivista "Pragmatic Marketing". Questa la pagina di presentazione del progetto mentre qui troverete il PDF per il download gratuito. Interessante notare l'approccio veramente pragmatico al naming tipico di quella che chiamerei la "tradizione americana". Non che in Europa si faccia il naming con la testa tra le nuvole, e non che negli Stati Uniti manchino esempi di articolata preparazione teorica attorno alle problematiche del naming. Tuttavia è evidente nello scritto a cui rinvio il grande senso di concretezza che caratterizza e deve caratterizzare ogni approccio al naming.

giovedì 14 agosto 2014

Zwipit, il nome da cercare per vendere il vecchio cellulare

Forse avrete visto anche voi lo spot di Zwipit, azienda specializzata nel riacquisto e riutilizzo di dispositivi cellulari. Logo in verde com'è "green" l'orizzonte dell'azienda e messaggio abbastanza chiaro e diretto. Trovate tutte le spiegazioni del caso qui. Ovviamente a noi interessa il nome. Partiamo dal claim: "Don't keep it, Zwipit", in buona sostanza un'esortazione a non tenere i telefonini non più utilizzati nel cassetto. Il claim sembra suggerire una lettura del nome in due tempi, come "zwip it". Non ho trovato tracce significative in rete sul naming di questa azienda, tuttavia credo si possa risalire all'acronimo assai specialistico e settoriale di ZWIP (Zero Warehouse Inventory Product) per provare a indovinarne l'origine. Naturalmente se sapete di più, fatecelo sapere. Il nome presenta inoltre una curiosa assonanza con Swype, ovvero il metodo di scrittura per i dispositivi touchscreen sviluppato da Swype Inc.

domenica 3 agosto 2014

Il sapore di certi nomi: la colla Artiglio

L'altro giorno cercavo una colla e mi sono imbattuto in questo prodotto che non avevo mai notato. La colla Artiglio. Da deformato quale sono l'ho notato anche per il nome, oltre che per il lettering del logo e la grafica della confezione, e poi - ammetto - ho acquistato il prodotto, anche perché sembrava fare al caso mio. Ho pensato che qualcuno potrebbe definire un'operazione di naming del genere di sapore "vintage". Può darsi. E può anche darsi che nomi del genere abbiano appeal solo per certe fasce anagrafiche, diciamo dalla mia in su. Sta di fatto che il nome "Artiglio", oltre a comunicare bene un concetto di "presa salda", presenta un sapore naturale di cose antiche. Ecco: il sapore dei nomi. Non bisognerebbe mai dimenticare che il nome si vede, si legge e si pronuncia con la bocca, la lingua, il palato e i denti attraverso un flusso d'aria. E quindi, in buona sostanza, non è così sbagliato dire che un nome ha anche un sapore. Sarebbe curioso sperimentare questo nome "Artiglio" in una veste grafica più moderna, valutarne la tenuta e le percezioni in un contesto diverso da quello appunto "vintage" che soprattutto la confezione gli conferisce. Entriamo allora nei rapporti tra naming, branding e packaging. Insomma, non è mai un lavoro facile quello che ha a che fare coi nomi e con le marche.

domenica 27 luglio 2014

Biscottone Mulino Bianco, un nome di biscotto "singolare"

Sembrano lontani i tempi in cui i nomi dei biscotti del Mulino Bianco rappresentavano dei brand a loro volta. Io ad esempio interrogavo mio fratello sui nomi dispiegati sul retro delle confezioni, e penso altri abbiano fatto questo giochino mattiniero. Penso a Tarallucci, Mugnai, Pan di Stelle (divenuto brand a tutto tondo, negli ultimi anni), Macine ecc. Erano tutti nomi che contribuivano a costruire il "cosmo Mulino Bianco". Di recente mi sono imbattuto in questo nuovo prodotto denominato Biscottone che palesa un naming apparentemente rinunciatario, nel senso che si ricorre ad un semplice accrescitivo di "biscotto". Il vantaggio del prodotto, evidenziato anche nella confezione, è in quel "grandi e inzupposi", quest'ultimo neologismo che sembra strizzare l'occhio al linguaggio giovanile. C'è però una novità che questo naming apparentemente "rinunciatario" introduce: il singolare. Se ci pensate era stato il plurale a farla da padrone nel nome dei biscotti. Con Biscottone assistiamo invece all'introduzione del singolare nel naming dei biscotti del Mulino Bianco. Si tratta di piccola svolta. Cosa ricavare da questa storia? Evidentemente aziende che hanno fatto la storia del naming in Italia come Barilla sanno essere estremamente innovative anche quando sembrano essere estremamente tradizionali, soprattutto in tempi in cui si bada molto alla sostanza e alla concretezza di ciò che si mette nel carrello della spesa.

domenica 20 luglio 2014

Intervista a Maria Pia Montoro: di naming e terminologia


D: A una terminologa intervistata in un blog sul naming chiedo innanzitutto cosa pensa del naming, se è qualcosa che segue con attenzione e che cosa ha eventualmente imparato da questo, visto che terminologia e naming sono per molti aspetti dei territori attigui?
R: Il naming è un uso creativo delle parole e in quanto “word lover” e appassionata di terminologia, mi viene del tutto naturale esserne incuriosita. Io poi ho una particolare predilezione per i neologismi e i nomi dei brand sono spesso dei neologismi.


D: Dicevo che terminologia e brand naming possono essere considerati territori attigui. Ma sei d'accordo con questa affermazione? E se sì, quali le comunanze e quali le specificità di ciascuna di queste due pratiche specialistiche?
R: Credo che il punto di unione tra i due territori sia rappresentato dalla “corporate terminology. Le aziende vogliono essere identificate velocemente, chiaramente e positivamente dai loro potenziali clienti e dal pubblico. Il nome adottato dall’azienda e la relativa terminologia utilizzata devono dare forma e rafforzare l’identità dell’azienda, ovvero l’identità del marchio. C’è una azienda negli Stati Uniti , la Lexicon, che ha creato i nomi dei brand più famosi come BlackBerry, Febreze, Pentium, beh, dietro a queste grandi creazioni c’è un intero team di 70 esperti linguistici, da 50 paesi diversi[1].


D: Qual è la tua formazione? E qual è oggi, nello specifico, il tuo lavoro?
R: Al momento mi occupo della gestione dei contenuti web di alcuni siti della Comissione europea, la mia formazione è un mix di traduzione, giornalismo e web. Nello specifico, mi sono laureata in lingue e letterature straniere all’Universita La Sapienza di Roma e ho frequentato un master in traduzione e interpretariato alla Gregorio VII a Roma, dove mi sono specializzata in traduzione giornalistica. Successivamente ho lavorato per tre anni presso una agenzia di rassegna stampa e media monitoring, la quale è stata la mia vera e propria scuola di formazione. Ogni giorno traducevo articoli dalla stampa estera (in lingua inglese e tedesca) verso l’italiano, un’attività molto simile a quella che viene fatta dalla rivista Internazionale. È stata una bellissima esperienza, ero aggiornata su tutto ed ero in grado di adottare le differenti terminologie legate ai differenti settori, in particolare mi ero specializzata nella terminologia relativa alle relazioni internazionali e all’economia e finanza. Proprio grazie alla conoscenza di quest’ultima sono approdata al Ministero dell’Economia come addetta alla rassegna stampa, precisamente al Dipartimento delle Finanze. Poi sono passata al web lavorando come web content editor presso la Corte dei Conti e la Ragioneria Generale dello Stato. Infine sono venuta qui in Lussemburgo per un tirocinio di 6 mesi all’unità di terminologia del Parlamento europeo e successivamente sono stata assunta dalla Intrasoft international.

D: Quello che accomuna il lavoro del terminologo e quello di chi si dedica al naming e quindi ciò che, in sostanza, li fa comparire in questo blog, è un'attenzione al microtesto. Nel tuo lavoro tu ti occupi dell'aspetto micro. Hai colleghi che si occupano dell'aspetto macrotestuale? E se sì, qual è il loro lavoro?
R: Io mi occupo di entrambi. Mi spiego meglio: io scrivo i contenuti di alcuni siti della Comimssione europea basandomi su testi scritti in “legalese” come le direttive UE per esempio, che non sono assolutamente “web-friendly”, e li rendo facilmente “digeribili” ad un pubblico generico. Questo testo ad esempio è tratto da questo documento. Ovviamente tutto il mio lavoro viene revisionato dai referenti della Commisione europea. Riguardo alla parte piu strettamente terminologica, sono “linguistic tester” di siti multilingue come e- Justice, ovviamente nelle lingue che conosco. Si tratta non solo di verificare che tutti i contenuti siano stati correttamente tradotti, ma anche di verificare che all’interfaccia e alle relative funzioni siano stati assegnati i termini appropriati per non causare frustrazione nell’utente. Mi è capitato di trovare “login” tradotto come “registrati”, per esempio.


D: Ci parli di qualche nome di marca che ti piace e che trovi particolarmente intelligente, magari attingendo a esempi recenti?
R: Mi ricordo quando da piccola a scuola un professore ci spiegò che il nome della marca degli zaini che usavamo tutti, gli “Invicta”, veniva dal latino “invincibile”. Mi ricordo che ne rimasi cosi affascinata e che da allora iniziai a guardare ai nomi dei brand con un certo interesse. Scoprii che “Q8” veniva da “Kuwait” e che “Kinder” significava “bambini” in tedesco. L’interesse non è svanito negli anni ma anzi si è acuito e ha trovato sfogo nel mio blog, dove appunto alcuni neologismi che mi colpiscono a che in alcuni casi sono anche nomi di brand come ad esempio il payoff “Enjoyneering”, usato da Seat: un blend di “enjoying” ed “engineering”.
Un settore che anche mi affascina è quello della moda: qui la creatività del linguaggio raggiuge i massimi livelli: neologismi e mix di lingue diverse, una vera delizia! Molti neologismi della moda li ho postati su un altro blog che si chiama Fashion Lingo. Ad esempio, un post l’ho dedicato al clamoroso successo del brand UGG, il famoso marchio di calzature, abbigliamento e accessori di moda, si quegli orribili stivali di montone. Il nome infatti suona come “ugh”, espressione di disgusto. Pare che il nome derivi dagli stivali utilizzati dagli aviatori australiani durante la prima guerra mondiale. Il termine era una abbreviazione di “flying ugg boots” dove “ugg” era un termine generico usato in Australia e in Nuova Zelanda per gli stivali di montone. Il produttore di queste stivali ha detto che l’ispirazione per il nome gli era venuto da sua moglie, che definiva questi stivali “ugly boots”. Sorprendentemente, gli orrendi stivali dall’orrendo nome hanno avuto un enorme successo. Un grande nome può fare la differenza, ma a volte anche un nome mediocre può avere un inaspettato successo. Il caso non è isolato se pensiamo che i brand piu popolari sono Microsoft, Walmart e General Electric: un nome mediocre non sempre segna negativamente il destino di un prodotto.
Un altro aspetto che mi diverte è come in Italia il nome di un brand internazionale pronunciato in maniera sbagliata possa diventare più popolare del nome pronunciato correttamente. Se dico “colgeit” quasi nessuno potrebbe capire che mi riferisco al dentifricio “Colgate”, idem per “ma’rlboro”. H&M è più conosciuto come “accaemme”, Volkswagen come “vosvagen” e Burberry come “barbery” e non come “barbry”[2]. L’effetto comico o creativo delle difficoltà di pronuncia delle lingue straniere è frequente in Italia (non siamo gli unici comunque). La pronuncia corretta di certi nomi che sono di uso quotidiano ormai da tanti anni non è ancora conosciuta da molti che di fatto spesso li ribattezzano come si leggono. Date un’occhiata a come questo simpaticissimo post ci suggerisce la pronuncia esatta dei brand.


D: E per finire un desiderio. Se ti fosse data l'opportunità di nominare un prodotto o un brand, su quale tipo di prodotto ti piacerebbe lavorare?
R: Nell’ambito della moda, ma forse sarebbe troppo facile... forse nel settore farmaceutico, i nomi che vengono dati ai medicinali in Italia sono tra i più brutti in assoluto. Basti pensare a Benagol o ad Ansiolin[3], al contrario dei nomi dati ad alcuni farmaci molto famosi come Viagra e Prozac[4] . In italiano sarebbe una bella sfida renderli più... attraenti, ma forse sarebbe uno sforzo inutile perché non auguro a nessuno di comprarli.

domenica 13 luglio 2014

Dakota, la salsiccia "già cotta" di Aia

Mi fa sempre effetto trovarmi per strada dietro a un würstel. L'altro giorno però la sorte mi ha riservato una sorpresa e anziché il solito würstel infilzato da una gigante forchetta e ricoperto di senape ho trovato una salsiccia che non conoscevo e non avevo mai notato. Era un grande camion di Aia, azienda che per quanto riguarda il naming meriterebbe un post a parte (brevità del nome palindromo, evocazioni). E notavo la gigantografia della salsiccia denominata "Dakota", la quale ha il vantaggio di essere pronta in due minuti soltanto, in quanto già cotta. Il fatto che nel packaging si sottolinei "già cotta" appena sotto al nome "Dakota" mi ha fatto pensare che in qualche modo questo naming rafforzi il benefit principale del prodotto ("già cotta" suona assai vicino a "dakota"). Inoltre il nome Dakota dà all'operazione di marketing nel suo complesso quel tocco da barbecue americano che di certo non guasta e che suppongo cercato. Insomma, con un semplice nome trisillabico sono riusciti a rafforzare foneticamente il benefit principale del prodotto e a creare un immaginario. Non era facile. Complimenti.

lunedì 7 luglio 2014

Risorse: la sintassi dei nomi di marca in italiano

Come detto altre volte vorrei utilizzare questi post per segnalarvi contributi interessanti sul naming che spesso trovano la propria origine in ambito accademico. Da qualche anno infatti si sono anche moltiplicate le tesi di laurea sul brand naming (è un aspetto che bene o male ho verificato io stesso) e ora sono reperibili degli articoli molto validi e molto interessanti. Vi rimando a questo scritto di Maria Chiara Janner dell'Università di Zurigo intitolato "Sintassi dei nomi di marca in italiano. Note sulla determinazione". Questo scritto si interroga sulla categorizzazione problematica dei nomi di marca (sono questi nomi propri o nomi comuni?) e riprende il costrutto di determinazione per provare a far luce su un terreno che presentà non poche difficoltà e ambiguità. Questo il link al contributo.

lunedì 30 giugno 2014

Origine (e pronuncia) del nome di marca Moleskine

Un nome di marca assai noto con qualche incertezza di pronuncia è Moleskine. Io l'ho sentito pronunciare con o senza "e" finale e anche con accenti diversi. C'è chi lo metteva sulla "o" e chi lo metteva sulla "i" (curioso a questo punto che nessuno lo metta sulla "e", non trovate?). Rinvio allora a questa pagina ufficiale dell'azienda dove in sostanza si stabilisce chiaramente che non esiste una pronuncia ufficiale e valida per tutti. Passiamo ora al nome. Da dove arriva? Da Bruce Chatwin. La pagina italiana di Wikipedia recita "Il nome "Moleskine" compare nell’opera Le vie dei canti (1986), in cui Chatwin racconta la storia del suo fornitore di taccuini, un cartolaio in Rue de l'Ancienne Comédie a Parigi, dal quale nel 1986 venne a sapere che l'ultimo produttore, una piccola azienda di Tours a conduzione familiare, aveva interrotto la produzione, in seguito alla morte del proprietario." Proprio in questo passo compare il nome Moleskine. Non è la prima volta che le vie della letteratura e quelle del naming si intersecano...

lunedì 23 giugno 2014

"Il" Marta di Taranto

Non è la prima volta che scrivo di naming museale. E torno sempre a scriverci più o meno per lo stesso motivo: la centralità dell'acronimo, una tendenza che appare dilagante. Naturalmente la lezione, la coda lunga, è di origine americana. Eppure non pensate anche voi che è così bello un nome come "Uffizi"? La città di Taranto, al centro di un piano di comunicazione ben strutturato sul fronte del rilancio turistico, ospita il Museo Nazionale Archeologico di Taranto, ribattezzatto appunto Marta a fronte di un nuovo allestimento. Questi rebranding museali hanno senso, a maggior ragione a fronte di nuovi direttive di investimento e sviluppo, rispondono inoltre a esigenze di sintesi, di immagine. Poi accade che gli acronimi provino la via di una personalizzazione, come quella che il nome di persona "Marta" prova a donare. Nella comunicazione pubblicitaria però si legge "il Marta", e torna in mente "il tigre nel motore" della vecchia Esso... Nonostante tutte queste considerazioni, penso e ribadisco che si potrebbe anche provare a trovare anche una nuova via del naming museale, diversa dall'acronimo, con un pizzico di coraggio (neanche molto).

lunedì 16 giugno 2014

Il genere dei nomi degli uragani e la conseguente percezione del rischio

Già da tempo assistiamo a operazioni di naming in ambito meteorologico. Questo nominare semplifica il lavoro di tutti, la memoria, il richiamo dell'evento, "personifica" il fenomeno, forse persino crea allerta quando è proprio l'allerta che si vuole creare. Ho letto recentemente che il genere attribuito con il nome a un dato fenomeno è stato messo in correlazione con il numero di morti. In sostanza, come si legge anche in questo articolo del sito CNN, gli uragani nominati con nomi femminili causerebbero più morti di quelli nominati con nomi maschili. Lo studio infatti mette in relazione il genere del nome con la percezione del rischio e sembra sollevare una sorta di problema "sessista" all'interno del naming dedicato ai fenomeni atmosferici: chissà se è vero che con un uragano nominato al femminile ci si spaventa meno e ci si prepara meno.

lunedì 9 giugno 2014

Origine del nome di marca Chupa Chups

Tra i vari artisti prestati al marketing, come saprete, c'è Salvador Dalì. Suo infatti è il primo logo di Chupa Chups, diventato il leccalecca per antonomasia, anche grazie alla sua semplice forma sferica. Lo disegnò rapidamente nel 1969. Questa almeno la leggenda che si è tramandata. "És rodó i dura molt, Chupa Chups" era lo slogan che accompagnava una vecchia campagna pubblicitaria. Ed è certo che la forma del leccalecca spagnolo sia forse quella perfetta per la bocca, per l'incastro tra palato e lingua. Ma il nome Chupa Chups da dove deriva? Molto semplice. In spagnolo, succhiare si dice "chupar". Chupa Chups è inoltre, come sentite, un nome assonante, ripetitivo. Ripete due parole pressoché identiche di cinque lettere ciascuna che differiscono solo per la lettera finale. La semplicità sembra pagare sempre, sia nei loghi sia nei nomi (sia nel "design").

martedì 3 giugno 2014

Hoxell, un nome per affermare un nuovo concetto di ospitalità alberghiera

Suona davvero vicino a "hotel" ma è "hoxell", il nome dato da Nomen Italia, agenzia specializzata e storica del brand naming italiano, a un'innovativa piattaforma online di interazione tra i due principali attori della “Guest Experience” alberghiera: Ospite e Staff. Si tratta, come si legge nel sito di Nomen Italia, di un nome che nasce "dall’incontro di tre termini inglesi che sono i tre concetti chiave della nuova offerta. Host, colui che ospita; Hotel, il luogo in cui si offre la nuova idea di ospitalità; Excellence, la modalità e il posizionamento del progetto, esplicitato nel payoff “excellence in hospitality”. Lo trovo un nome riuscito e giustificato molto bene. Ha inoltre quel tocco di tecnicità nell'eccellenza che la lettera "x" centrale sa donare. Un nome efficace, che posiziona e persino facile da ricordare. 

lunedì 26 maggio 2014

F**K project: un nome o più nomi per il beachwear

Qualche sera fa, passeggiando per una cittadina, notavo in un negozio di costumi e "beachwear" un cartello vetrina di un marchio a me prima sconosciuto e denominato F**K. Il riferimento alla arcinota parola inglese mi è parso subito lampante, con quegli asterischi che sostituiscono ovviamente una vocale e una consonante. Potete trovare il sito al dominio effek.it (non effekappa.it e qui invece mi pare risulti evidente il riferimento alla parola inglese "effect", scelta in linea e coerente per brand della moda). Insomma, sembra che questo brand di beachwear ambisca ad essere molte cose, sin dal suo nome. Troppe cose? Non credo. Credo infatti che la strategia nominale sia tutto sommato semplice. Il brand è e rimane a tutti gli effetti FK, pronunciato - presumo - all'italiana. I due asterischi agiscono quindi ad un livello quasi subliminale, collegandosi all'immaginario erotico del brand, ravvisabile dagli shooting fotografici.

lunedì 19 maggio 2014

I vantaggi del rasaerba Grin

Estate, o quasi. Tempo di tagli d'erba. I fine settimana nei quartieri residenziali, ovunque essi siano, alle periferie delle città e anche in paesi di campagna, laddove ci sono case con un po' di giardino, assomigliano a quella memorabile descrizione che ne fece Giorgio Falco nel romanzo L'ubicazione del bene. Ma lasciamo stare questi strazi uditivi, questi mosconi supplementari che si aggiungono alle mosche della bella stagione, quest'inquinamento acustico che è anche figlio di un modo sempre più malato di intendere l'urbanistica e il giardino e che poco o nulla ha a che fare con le aziende produttrici di macchine rasaerba, che cercano soltanto di offrire prodotti adatti alle mutate esigenze di mercato. Notavo la pubblicità di questo Grin, rasaerba che mostra evidenti vantaggi per l'utilizzatore: non si raccoglie l'erba, non si va in discarica, non si cambia la frequenza del taglio. Il nome rimanda chiaramente al colore "green". Il prodotto appare davvero innovativo, ma qui, come altre volte, mi chiedo se non è stato un po' sprecato il potenziale innovativo del prodotto con un nome che non parla dei vantaggi e che non lo posiziona nell'universo della concorrenza. Sicuramente questo nome ha altri vantaggi, come la brevità e la memorabilità e sicuramente la comunicazione pubblicitaria tradizionale e via Internet dell'azienda promuove i vantaggi. Ma perché non pensarci sin dal nome a comunicare questi vantaggi unici? E se Giorgio Falco ha ragione, perché non lavorare sul silenziare il più possibile i rasaerba non elettrici? Per le aziende produttrici di rasaerba ecco magari un argomento dove puntare, nella progettazione e nelle future campagne pubblicitarie...

lunedì 12 maggio 2014

"Merriam's Guide to Naming". Una biblioteca per il naming #2

Il libretto che Lisa Downey Merriam ha scritto è una pratica guida al business naming, sulla scia di quei manuali e prontuari così diffusi nella tradizione anglosassone. Forse non vi troverete problematizzata dentro tutta la complessità del naming come potrebbe accadere in uno studio di matrice europea, tuttavia proprio per questo il volumetto risulta utile. Si tratta inoltre di uno dei più recenti contributi esplicitamente dedicati al naming (in questo spazio dedicato ai libri cercherò di dare notizia di titoli che non riguardano esplicitamente il naming e che tuttavia possono rivelarsi utili, come potrebbe essere, ad esempio, il volume che tempo fa Anna Maria Biason ha pubblicato per Il Mulino con il titolo di Retoriche della brevità). Il libro della Merriam intitolato Merriam's Guide to Naming abbraccia diverse "dimensioni" del problema del nome, dalle start-up ai colossi delle multinazionali, seleziona i criteri che di solito si rivelano vincenti per la creazione, per la selezione e per la valutazione di un nuovo nome, cita gli errori più comuni e ha un occhio di riguardo al crescente problema dei nomi di dominio e a quello dei nomi che si rendono necessari in seguito a fusioni e acquisizioni.

lunedì 5 maggio 2014

Magista di Nike. Lo scarponcino da calcio innova anche nel nome

In occasione degli eventi sportivi più importanti i colossi dello sport lanciano i prodotti che segneranno una strada, faranno tendenza e faranno anche molto discutere. Per le Olimpiadi di Londra - ne abbiamo già parlato - fu la volta di Flyknit di Nike, e ora invece, con i mondiali di calcio in Brasile alle porte, ecco spuntare questa nuova e innovativa scarpa da calcio che di nome fa Magista. Il naming appare assai curioso. Rovistando nel web non si trova granché relativamente a questo nome, alla sua generazione. Se attingiamo alla lingua inglese, pare che la parola che può aver dato lo spunto a questo naming, a mio avviso significativo perché innovativo e di rottura, adatto tra l'altro a un prodotto che si presenta appunto innovativo e di rottura da un punto di vista di design, è "magisterial", la quale rimanda a qualcosa di magistrale, solenne, dotato di grande autorevolezza. (Dicevo di un "innovativo e di rottura" perché troppo spesso, anche le aziende italiane, sprecano importanti e innovativi contenuti di design non comunicandoli bene con nomi altrettanto innovativi.) Magista sembra riportare anche al latino "Magistra". In italiano ricorda molto "regista", uno dei ruoli più poetici del calcio, anche se mi sembra sia una espressione un po' scomparsa, come la "marcatura a uomo". In italiano abbiamo poi il rimando a "magismo" e sicuramente a "magia", rimando che può sopravvivere anche ad un livello internazionale, che sicuramente è il territorio di questo nuovo brand di Nike.

lunedì 28 aprile 2014

GoPro, la lifecam per antonomasia

Non so se sia così normale che da due anni a questa lo stand più affollato della fiera ISPO di Monaco, la più importante a livello mondiale per gli sport invernali, sia quello di GoPro. Non so se sia normale perché non stiamo parlando di un attrezzo sportivo ma della action cam (o lifecam) per antonomasia, inventata da Nick Woodman, il fondatore e CEO dell'azienda di cui si è letto negli ultimi tempi in vista della quotazione in borsa. GoPro si usa negli sport, nasce e attechisce tra surfisti, motociclisti o ciclisti e poi diventa la "protesi" principale per documentare le proprie imprese sportive, più o meno memorabili. L'apparecchio, grazie a una serie di nuovi agganci e cinghie, s'allarga sempra a nuovi impieghi e stimola la fantasia dei suoi utilizzatori, che ormai la attaccano anche nei luoghi più improbabili. Il payoff è "Be a hero". Tutto è molto "aspirazionale" insomma. Il nome è molto diretto, e forse ha contribuito alla fortuna, all'immediatezza. Il verbo "go" è quasi universalmente noto e la particella -pro rimanda al mondo dei professionisti, dei campioni, degli eroi degli sport. Insomma, anche il naming di questa fortunata fotocamera è aspirazionale, come il suo payoff. Ora naturalmente il mercato ha reagito e magari torneremo ad analizzare quali strategie di naming ha adottato la concorrenza. Non è mai facile reagire quando un prodotto nasce e subito s'inventa una categoria di prodotto nuova. Il brand GoPro ha beneficiato anche dell'eccezionale supporto dell'impresa del paracadutista austriaco Felix Baumgartner nell'ambito del progetto Red Bull Stratos. Baumgartner sì lanciato da una altezza di 39.000 metri infrangendo il muro del suono durante la discesa, durata poco meno di dieci minuti.


martedì 22 aprile 2014

F, il femminile

Mi era sfuggito questo nome per la rivista settimanale femminile del gruppo Cairo. L'ho intravisto l'altro giorno in edicola e mi è parso interessante. Perché? Perché non sono molti i nomi di una sola lettera. Perché letto per esteso, almeno foneticamente, diventa un palindromo come Anna e Elle, altre due riviste femminili molto note. Quella lettera da sola allora rimanda forse anche a quelle testate, ma in modo più sintentico, e allo stesso tempo, allude al mondo di riferimento (quell'universo femminile ricercato dagli editori e dalla pubblicità). F come la casella del sesso da barrare in certi documenti. F come quello che volete vederci voi. Si dice che questo genere di riviste sono dei "femminili", anche se "femmina" è una parola di uso controverso e non sempre facile. Si preferisce parlare di "donna". Ah, ecco, c'è anche D di Repubblica. Ora capisco: mi è parso un nome non solo nel panorama.

lunedì 14 aprile 2014

32 Via dei Birrai e il naming numerico

Il brand naming numerico è una pratica molto diffusa, pensate solo all'ambito delle automobili (a Peugeot) o, ad esempio, ai profumi (il palindromo 1881 di Cerruti, un buonissimo profumo). Il numero diventa icona-nome. Un aspetto curioso di questa pratica è chiedersi se, nel caso di brand internazionali, il nome resti nella pronuncia della lingua di partenza o venga di volta in volta declinato e tradotto. Nel settore alimentare è interessante il caso di una birra che si sta via via affermando, anche per le qualità intrinseche del prodotto: 32 Via dei Birrai. Il nome e la confezione gioca apertamente col numero, che è il numero di classe di appartenenza della birra (e vi è pure nella gamma una buonissima birra leggera con soli 3,2 gradi). La strategia di questo birrificio artigianale insomma è molto vivace e molto chiara, il tutto è improntato a una semplicità minimal altrimenti sconosciuta nel settore talvolta chiassoso e arzigogolato della birra. Un naming numerico magari rischia di essere meno "saporito" di un altro nome, ma se ben gestito, come in questo caso, con una gamma di prodotti davvero variegata, diventa invece una leva semplice per la memorabilità del prodotto e del brand. E questa capacità di giocare con il naming si trova anche nell'aceto di birra, denominato Ace To 32. Mi pareva un caso degno di menzione.

lunedì 7 aprile 2014

"Il nome" di Paolo Acquaviva. Una biblioteca per il naming #1

Vorrei iniziare a segnalare alcuni libri che possono tornare utili a chi si occupa di nomi, naming e a chi è desideroso di approfondire certi temi di cui qui si è discusso a più riprese. Si badi bene che non si tratterà di libri specificatamente sul brand naming o sul naming, ma di libri che io vedrei bene nella biblioteca di qualsiasi agenzia di naming specializzata. Ad esempio anche un dizionario di sanscrito non guasterebbe in un'agenzia di naming specializzata, così come altre ipotetiche migliaia di titoli (lunari, almanacchi, vecchi libri di astronomia...) da dove potrebbe sempre piovere un nome. In questo nuovo spazio del blog, che cercherò di ravvivare con segnalazioni sempre nuove, inizio col dirvi che è uscito non da molto un bel libro di Paolo Acquaviva, docente di Linguistica e lingua italiana all'University College Dublin. Si intitola Il nome e lo pubblica Carocci. Il libro si articola in sei sezioni. Dopo uno sguardo d'insieme, l'autore si addentra sulle basi concettuali e comunicative della nominalità. Passa quindi ad un'analisi e classificazione del contenuto dei nomi e a quella delle funzioni dei nomi nel contesto sintattico. Genere, numero e caso danno vita al capitolo sulle categorie grammaticali dei nomi e infine si trova un capitolo sulla forma dei nomi italiani. Il nome è una nozione intuitiva, eppure questo libro di Acquaviva vi mostrerà come dietro quest'intuizione si possano trovare aspetti di grande complessità e fascino che, se affrontati per davvero, danno sicuramente vita ad una maggiora consapevolezza linguistica.

lunedì 31 marzo 2014

Naming farmaceutico, un interessante articolo

Scrivo raramente di naming farmaceutico (qui accanto un esempio di nome palindromo, Xanax), anche se è da sempre uno dei settori più prolifici per il naming e per le agenzie specializzate: servono spesso nomi nuovi, serve gestire quelli in portafoglio, serve armonizzare l'architettura nominale. I farmaci sono brand e nomi che occupano uno spazio rilevante delle nostre vite. A me capita addirittura di associare delle persone a dei nomi di farmaci che ho sentito pronunciare da queste. Servono tante attenzioni nel naming farmaceutico e c'è sempre qualcosa da fare da un punto di vista gestionale. Qualche mese fa avevo memorizzato il link di un articolo dalla rivista "Slate". L'articolo, che naturalmente risente della provenienza americana, tratta tuttavia delle situazioni riscontrabili anche da noi. Quello del naming farmaceutico è un settore davvero singolare. Come risaputo, ve va della chiarezza/oscurità in un universo di business immenso. Quelle che coinvolgono i farmaci sono spesso operazioni peculiari (nell'articolo si parla anche dei test di handwriting per capire come il nome risulta quando prescritto in una ricetta; il mio dottore comunque ora stampa le ricette e non le scrive più). E qualcosa sembra stia cambiando. Come? Se vi capita date una letta all'articolo di David Schultz.

lunedì 24 marzo 2014

Origine del nome di marca Mammut

Osservando i nomi di marca del settore nel quale opero da tempo, cioè quello degli sport e degli sport invernali in particolar modo, ho provato sempre una forte simpatia per il brand e il brand name Mammut, azienda svizzera di Seon, distretto del fiume Aar. Simpatia e attrazione non devono inficiare la valutazione di un brand di un'azienda che oggi si presenta ai vertici per attrezzatura per la montagna ma anche per la ricerca di sicurezza (sotto una foto di come si presentava, genialmente e coraggiosamente a mio avviso, il lato principale del loro stand alla ultima fiera ISPO di Monaco di Baviera, dove presentavano anche l'ultimo nato tra gli "avalanche airbag"). Credo tuttavia che questo nome sia estremamente sexy, pur nel suo rimandare a un animale estinto (o forse proprio per questo). Ecco, un nome può avere appeal, anzi dovrebbe sempre averlo.


Stand Mammut a ISPO Monaco
Non ho trovato documenti interessanti sull'origine di questo nome ma è evidente che l'universo di riferimento alpino (il payoff dell'azienda attualmente è "Absolute Alpine") lo ha sicuramente ispirato e dettato. Il ricorrere agli animali poi è trend molto significativo nel settore (pensiamo a Jack Wolfskin e al suo emblema con l'impronta). Mammut è nome breve, rimanda a due sole vocali che non dovrebbero generare pronunce errate nel mondo. Parte dalla radice Ma- che ha molte positive implicazioni, anche di protezione, forza. Riporta a un animale immenso, mastodontico. Sarà perché da quando, assai piccolo, visitai questo museo di Crocetta del Montello e i resti fossili di un mammut lì ospitati e ne rimasi così fortemente impressionato, ma io penso che il brand name Mammut sia perfetto e svolga benissimo la propria funzione.

lunedì 17 marzo 2014

Origine del nome di marca Pampers

Non pensate che uno che tiene un blog sul brand naming sia una specie di wikipedia del naming. Niente di più falso. Magari è uno che presta un po' più di attenzione ai nomi che vede in giro. Ma neanche questo è necessariamente vero. L'altro giorno, ad esempio, pensavo di riprendere questa sorta di rubrica dedicata all'origine di un determinato nome di marca e la prima cosa che mi ha capitata in mano ha dato il la a questo post. Non mi pare esistano fonti ufficiali, ma il nome Pampers ha tutta l'aria di derivare dal verbo "to pamper" descritto così dal dizionario Merriam-Webster: "to treat (someone or something) very well : to give (someone or something) a lot of attention and care". Perfetto: né più né meno di quello che da decenni la pubblicità ci fa vedere quando parla di prodotti destinati ai bambini piccoli. La presenza di suoni come Pa- pe- non credo abbia fatto schifo a chi era alle prese con il naming di questa marca di pannolini (una sorta di messaggio subliminale? Era finalmente giunto anche per i padri il loro momento nel cambio dei pannolini?). Del resto, una procedura analoga in termini di posizionamento e valori sembra quella comunicata dal brand naming dell'antagonista Huggies, quasi sicuramente da "hugs", ("abbracci").