lunedì 28 aprile 2014

GoPro, la lifecam per antonomasia

Non so se sia così normale che da due anni a questa lo stand più affollato della fiera ISPO di Monaco, la più importante a livello mondiale per gli sport invernali, sia quello di GoPro. Non so se sia normale perché non stiamo parlando di un attrezzo sportivo ma della action cam (o lifecam) per antonomasia, inventata da Nick Woodman, il fondatore e CEO dell'azienda di cui si è letto negli ultimi tempi in vista della quotazione in borsa. GoPro si usa negli sport, nasce e attechisce tra surfisti, motociclisti o ciclisti e poi diventa la "protesi" principale per documentare le proprie imprese sportive, più o meno memorabili. L'apparecchio, grazie a una serie di nuovi agganci e cinghie, s'allarga sempra a nuovi impieghi e stimola la fantasia dei suoi utilizzatori, che ormai la attaccano anche nei luoghi più improbabili. Il payoff è "Be a hero". Tutto è molto "aspirazionale" insomma. Il nome è molto diretto, e forse ha contribuito alla fortuna, all'immediatezza. Il verbo "go" è quasi universalmente noto e la particella -pro rimanda al mondo dei professionisti, dei campioni, degli eroi degli sport. Insomma, anche il naming di questa fortunata fotocamera è aspirazionale, come il suo payoff. Ora naturalmente il mercato ha reagito e magari torneremo ad analizzare quali strategie di naming ha adottato la concorrenza. Non è mai facile reagire quando un prodotto nasce e subito s'inventa una categoria di prodotto nuova. Il brand GoPro ha beneficiato anche dell'eccezionale supporto dell'impresa del paracadutista austriaco Felix Baumgartner nell'ambito del progetto Red Bull Stratos. Baumgartner sì lanciato da una altezza di 39.000 metri infrangendo il muro del suono durante la discesa, durata poco meno di dieci minuti.


martedì 22 aprile 2014

F, il femminile

Mi era sfuggito questo nome per la rivista settimanale femminile del gruppo Cairo. L'ho intravisto l'altro giorno in edicola e mi è parso interessante. Perché? Perché non sono molti i nomi di una sola lettera. Perché letto per esteso, almeno foneticamente, diventa un palindromo come Anna e Elle, altre due riviste femminili molto note. Quella lettera da sola allora rimanda forse anche a quelle testate, ma in modo più sintentico, e allo stesso tempo, allude al mondo di riferimento (quell'universo femminile ricercato dagli editori e dalla pubblicità). F come la casella del sesso da barrare in certi documenti. F come quello che volete vederci voi. Si dice che questo genere di riviste sono dei "femminili", anche se "femmina" è una parola di uso controverso e non sempre facile. Si preferisce parlare di "donna". Ah, ecco, c'è anche D di Repubblica. Ora capisco: mi è parso un nome non solo nel panorama.

lunedì 14 aprile 2014

32 Via dei Birrai e il naming numerico

Il brand naming numerico è una pratica molto diffusa, pensate solo all'ambito delle automobili (a Peugeot) o, ad esempio, ai profumi (il palindromo 1881 di Cerruti, un buonissimo profumo). Il numero diventa icona-nome. Un aspetto curioso di questa pratica è chiedersi se, nel caso di brand internazionali, il nome resti nella pronuncia della lingua di partenza o venga di volta in volta declinato e tradotto. Nel settore alimentare è interessante il caso di una birra che si sta via via affermando, anche per le qualità intrinseche del prodotto: 32 Via dei Birrai. Il nome e la confezione gioca apertamente col numero, che è il numero di classe di appartenenza della birra (e vi è pure nella gamma una buonissima birra leggera con soli 3,2 gradi). La strategia di questo birrificio artigianale insomma è molto vivace e molto chiara, il tutto è improntato a una semplicità minimal altrimenti sconosciuta nel settore talvolta chiassoso e arzigogolato della birra. Un naming numerico magari rischia di essere meno "saporito" di un altro nome, ma se ben gestito, come in questo caso, con una gamma di prodotti davvero variegata, diventa invece una leva semplice per la memorabilità del prodotto e del brand. E questa capacità di giocare con il naming si trova anche nell'aceto di birra, denominato Ace To 32. Mi pareva un caso degno di menzione.

lunedì 7 aprile 2014

"Il nome" di Paolo Acquaviva. Una biblioteca per il naming #1

Vorrei iniziare a segnalare alcuni libri che possono tornare utili a chi si occupa di nomi, naming e a chi è desideroso di approfondire certi temi di cui qui si è discusso a più riprese. Si badi bene che non si tratterà di libri specificatamente sul brand naming o sul naming, ma di libri che io vedrei bene nella biblioteca di qualsiasi agenzia di naming specializzata. Ad esempio anche un dizionario di sanscrito non guasterebbe in un'agenzia di naming specializzata, così come altre ipotetiche migliaia di titoli (lunari, almanacchi, vecchi libri di astronomia...) da dove potrebbe sempre piovere un nome. In questo nuovo spazio del blog, che cercherò di ravvivare con segnalazioni sempre nuove, inizio col dirvi che è uscito non da molto un bel libro di Paolo Acquaviva, docente di Linguistica e lingua italiana all'University College Dublin. Si intitola Il nome e lo pubblica Carocci. Il libro si articola in sei sezioni. Dopo uno sguardo d'insieme, l'autore si addentra sulle basi concettuali e comunicative della nominalità. Passa quindi ad un'analisi e classificazione del contenuto dei nomi e a quella delle funzioni dei nomi nel contesto sintattico. Genere, numero e caso danno vita al capitolo sulle categorie grammaticali dei nomi e infine si trova un capitolo sulla forma dei nomi italiani. Il nome è una nozione intuitiva, eppure questo libro di Acquaviva vi mostrerà come dietro quest'intuizione si possano trovare aspetti di grande complessità e fascino che, se affrontati per davvero, danno sicuramente vita ad una maggiora consapevolezza linguistica.