sabato 28 novembre 2015

Origine del nome Penny per gli skateboard in plastica

"Fun Starts On A Plastic Boards". Così vuole il sito web di Penny, marca australiana di "plastic skateboards". Si tratta della tavola del momento (già da un bel po' di tempo, a dire il vero), imitata, copiata e diffusa su scala planetaria. Come spesso succede nel mondo dei divertimenti "lifestyle" su rotelle si assiste al classico fenomeno di lessicalizzazione del nome di marca (così come con "Rollerblade" o, per fare un esempio in altro ambito, con "Scotch"). Ho sempre pensato che il nome Penny derivasse da una faccenda di monete, ma in realtà nella pagina Wikipedia apprendo che "Penny Skateboards was named after Ben Mackay's sister, Penny", quindi dal nome della sorella del fondatore. Probabilmente l'associazione con la monete è stata comunque valutata, anche se questi skateboard in plastica - perlomeno quelli della Penny - non sono affatto economici. Insomma, scopro ora che questi skateboard "short cruiser" o "mini cruiser" non prendono il nome dalle monete bensì da un nome di persona. Curioso. Ma in fondo chissà se è davvero così. E curioso infine sapere che in Cina, in ambito produttivo e sicuramente a causa di quei colori così brillanti che contraddistinguono le loro plastiche, abbiano preso il nome di "candy boards". E curioso sapere che la marca delle sgargianti caramelle Haribo abbia particolarmente attecchito tra chi si diverte facendo qualcosa su rotelle...

sabato 21 novembre 2015

Ma alla fine come si pronuncia Saucony?

Nel mio dialetto questa popolare marca di calzature, inizialmente legata al mondo della corsa (pardon, al mondo del "running"), potrebbe prestarsi a derive di pronuncia quasi imbarazzanti, soprattutto se l'accento è fatto cadere sulla "o". C'è molta incertezza attorno alla pronuncia di questo brand name e l'incertezza forse è salita di pari passo con la crescente popolarità del brand, fuoriuscito dai territori più specialistici della corsa per farsi marca di moda. Accade spesso così e diciamo che questo è il sogno proibito di ogni marca che nasce sportiva e vuole poi diventare qualcos'altro. Ora è evidente come Saucony abbia preso delle quote di mercato per anni in mano a New Balance, altra marca legata al mondo della corsa o "running" che dir si voglia (ma chissà perché "running" e non "swimming"...). L'incertezza attorno alla pronuncia di un brand name è un caso abbastanza ricorrente. Noto dalle statistiche d'accesso a questo blog che molti arrivano qui cercando la pronuncia corretta di "Saucony" e ricadono in un vecchio post. Volevo dire a tutte queste persone interessate che esistono risorse come il video di YouTube qui sotto, il quale potrà sciogliere una volta per tutte i loro dubbi. Questo per gli ortodossi della pronuncia. Poi si sa che si può vivere tranquillamente lo stesso. Ci sono diversi video di questa serie PronunciationBook o altri di simile impostazione: ad esempio, avete mai sentito la pronuncia corretta di "Tortoise"? Mica facile la tartaruga...


sabato 14 novembre 2015

Se anche "The Economist" dice la sua sua sulle tendenze attuali del naming

Vi invito a leggere l'articolo apparso nel cartaceo di "The Economist" e ora anche qui. Se se ne occupa "The Economist" significa che il problema del naming effettivamente c'è. Si parte da The Nine Billion Names of God di Arthur C. Clarke per parlare quindi di sovraffollamento, di intasamento, di difficoltà a trovare dei nomi nuovi in un panorama popolato dalle start-up fungo. La visuale è quella anglosassone, lucida e tranciante, ma nonostante l'autorevolezza della testata uno può dissentire in alcuni punti o comunque nell'impostazione di fondo. Dopo aver fatto la propria personale carrellata sulle tendenze del naming attuale, smascherando gli aspetti più ridicoli e le mosse più goffamente affannate dei namers, chi scrive l'articolo giustamente conclude che tutto questo indaffararsi per trovare sempre nuovi stratagemmi per denominare fa rimpiangere certe pratiche di naming antiche, come quando una banca prendeva il nome dai fondatori o da una serie di lettere (sigla). Si legge in chiusura "The biggest mistake is to expect too much. Great companies can survive boring names but even the best names cannot save dismal companies". Bella forza, verrebbe da aggiungere. C'è anche un appello al buon senso da parte del giornalista, che può starci. Così come alla possibilità di intravedere una faccia, dietro al nome.

La realtà dei fatti è però diversa e più complicata di come la fa "The Economist", che pure partiva proprio da una constatazione di complessità: spesso il successo di determinate aziende, unito ai trend del naming, alle estetiche in voga di un dato periodo ci fanno piacere un determinato nome e un determinato stile nominale. Ma è il successo che fa la fortuna. Se notassimo un gran successo di aziende denominate a partire dal nome del fondatore saremmo tutti qua a dirci che quella è la strada giusta ecc. Se Google e Yahoo fossero stati due flop completi allora non staremmo qui a parlare del fatto che sono nomi interessanti e ben fatti, che hanno fatto tendenza. Insomma, uno può rimpiangere i tempi e i trend che vuole. La realtà è che i nomi servono ancora e non è affatto facile trovarli, a volte, e per questo ogni strada è sempre aperta. Magari verrà un mondo dove i nomi non saranno più così importanti, saranno più impalbabili, aleatori, volatili e non ci saranno più di tante dispute legali. Sto solo facendo un esercizio di immaginazione. Tuttavia questo mondo mi sembra ancora assai lontano. Potrebbe esser un tema di un racconto di fantascienza di un nuovo Arthur C. Clarke.

sabato 7 novembre 2015

Zoomer Dino!

Ci mancava una performance aggiuntiva dal sederino di Zommer Dino Zoomerdino, cioè questo giocattolo a lato, e poi il naming sarebbe stato ancora più calzante! Talvolta la struttura o architettura di un nome si porta dietro delle "radici" (in questo caso la parola Zoomer- che introduce tutta una serie di giocattoli della serie) che poi abbinate a dei suffissi danno vita a dei nomi quantomeno buffi. Zoomer Dino, o Zoomerdino per gli amici, mi pare un esempio simpatico di questa situazione. Chissà se queste riflessioni anticipano il lancio di un prodotto che si immagina già per il mercato internazionale (naturalmente in inglese il problema dell'esito buffo non si pone), se vengono temuti certi effetti nel mercato internazionale delle lingue e delle pronunce oppure se si guarda con entusiasmo e curiosità all'effetto che la denominazione produrrà in un paese come l'Italia, ad esempio. Nello spot pubblicitario la velocità dello speaker rende tutto ancora più divertente! E chissà se a voi vengono in mente altri esempi su questa scia. Zoomerdino! Al di là di questo, nel settore toys quella dei dinosauri è una tendenza che davvero non sembra destinata ad affievolirsi.