mercoledì 26 ottobre 2011

Mulino Bianco e i nomi dei biscotti

Inizialmente doveva chiamarsi soltanto Mulino, per rinviare a un mondo di natura, tradizione, artigianalità, ruralità e genuinità, ma degli opportuni name test evidenziarono che la parola "mulino", da sola, poteva avere anche una connotazione non desiderata per il nuovo brand di Barilla: c'era infatti il pericolo che potesse richiamare qualcosa di sporco, non igienico. Fu così che aggiustarono il tiro e unirono le parole "Mulino" e "Bianco". Questo il ricordo della lettura di un saggio sul lancio di una delle marche più note d'Italia, se la memoria non tradisce uno scritto di Giampaolo Fabris.

Di lì poi venne un naming system davvero unico, coerente, a pensarci ora direi quasi monolitico. Sul retro delle confezioni degli anni Ottanta ricordo tutti i biscotti disposti a scacchiera. Sugli ingredienti di questi io e mio fratello ci interrogavamo la mattina facendo colazione. I nomi dei singoli biscotti, a pensarci oggi, erano coerenti con l'universo del Mulino Bianco (pensiamo ad esempio a "Mugnai", e poi "Macine", "Galletti", "Molinetti", "Pale"). Quello di Mulino Bianco è forse uno degli esempi di naming system più capillari, efficaci e longevi nella storia della recente comunicazione, almeno nel settore alimentare. Un classico caso di marca e creazione di un suo "mondo possibile", dove la strategia di naming si è fusa largamente con la strategia di identità visiva, di comunicazione pubblicitaria, di lancio di sempre nuovi prodotti che abitassero quel "mondo possibile". 

Oggi alcuni di quei "comuni" nomi di biscotti sono diventati a loro volta brand a tutto tondo, pensiamo a "Pan di stelle" o ad un naming più descrittivo come "Grancereale", il quale copre ad ombrello una determinata gamma di prodotti, dai biscotti ai cereali per la prima colazione passando per gli spuntini dolci. Registro il ritorno di un naming più descrittivo, nonostante tutti i guru del naming sconsiglino vivamente di optare per un naming che descrive (un altro nome descrittivo in casa Mulino Bianco è "Storie di Frutta"). Sarà il caso di approfondire in futuro questa che per ora rimane una sensazione.


Vi lascio con uno spot e un rinvio ad un libro assai vicino a questi temi di naturalità che ho recensito quest'estate nell'altro blog, qui.


martedì 18 ottobre 2011

Toy naming. Quanti nomi in un giocattolo.

L'altro giorno osservavo la confezione del Sapientino che Clementoni ha dedicato a Cars 2 di Disney/Pixar. Avete contato quanti nomi ho menzionato per circoscrivere questo giocattolo che potete trovare anche nelle librerie più fornite, nello straripante reparto di libri per bambini? Ben cinque! C'è l'azienda italiana Clementoni. C'è uno dei suoi brand storici, Sapientino. Poi c'è Cars 2, uno dei cartoni animati del momento, e infine il binomio Disney-Pixar. La struttura nominale di questo gioco assomiglia ad una configurazione a scatole cinesi. Se mi consentite un paragone dermatologico, abbiamo l'ipoderma di Clementoni, il derma Sapientino e l'epidermide Cars 2 - Disney - Pixar. Simili strutture nominali non sono rare nel mondo del licensing nel quale Disney ha una lunga storia. Banalmente, contando i nomi presenti in una confezione di un gioco possiamo capire qualcosa di più del modo in cui si costruiscono determinati prodotti (e determinati costi di prodotto) oggigiorno.

sabato 15 ottobre 2011

Groupon, il nome del business più veloce del web

Se c'è un business nato sul web che sta crescendo notevolmente quello è Groupon. Un modo nuovo di vendere beni e soprattutto servizi, che si basa sull'interazione tra virtuale e reale.

Il sistema è abbastanza semplice: si acquista online un bene (soprattutto servizi: parrucchiera, estetista, ristorazione) e si beneficia di uno sconto importante. Per l'attività commerciale che aderisce, tale business model consente ad esempio di aumentare la frequenza d'erogazione di un servizio nei momenti di stanca (pensiamo ad un ristorante di città aperto ad agosto) o, per esempio, di far conoscere la palestra nella zona industriale dietro casa alla quale nessuno dava molto credito. Lo sconto importante combina il resto per scatenare il passaparola.

Il buzz che queste esperienze di acquisto scatenano è notevole. L'altro giorno al bar ho intuito che la barista stava pubblicizzando agli avventori questo nuovo tipo di customer experience che lei stessa aveva provato. Era diventata testimonial non retribuita, o meglio, retribuita con lo sconto di cui aveva beneficiato.

Il nome è dato dalla fusione-contrazione di group+coupon. Perché questo? Il nome Groupon è uno dei nomi che vorrebbe da solo spiegare la meccanica di funzionamento di questo nuovo sistema "incentivante" basato prima sull'acquisto di gruppo di un dato servizio e in seconda battuta sul coupon che dà accesso allo sconto importante (fino al 70% recita la campagna Google Adwords), vero motivo del passaparola che io stesso ho intercettato.

Il modo in cui si fa il deal diventa oggi importante tanto quanto il bene acquistato? O di più, addirittura?

Vi segnalo questo interessante post da "Il Mestiere di scrivere", il ricchissimo blog di Luisa Carrada. Troverete alcune considerazioni e dei link relativi alle norme redazionali che gli editor di Groupon devono perseguire per una maggiore efficacia della loro lingua e scrittura. Tra loro si segnala l'editor in chief Aaron With.

mercoledì 12 ottobre 2011

Twitter e Twittad litigano sul Tweet

Le principali controversie legali in ambito di naming si sono spostate sul web, o perlomeno - mettiamola così - sul web iniziano ad esserci molte controversie attorno alle denominazioni. Normale che sia così. In questi giorni è la volta di Twitter, il social network del momento, che ha in corso una battaglia con l'azienda Twittad che apprendiamo essere "the largest and most effective form of sponsored advertising on Twitter". La vicinanza tra le due aziende è quindi non solo da un punto di vista fonetico. La controversia verte sulla parola Tweet che tutti gli utenti di Twitter conoscono benissimo, il "cinguettio" di 140 caratteri che si deposita sulla timeline del social network. Si tratta di una parola-brand pienamente integrata nel glossario di questo social network (pensiamo anche a "retweet"). Twittad tuttavia aveva registrato per prima il marchio Tweet. Twitter rivendica il diritto alla proprietà di questo nome. Le due aziende sono arrivate al tribunale. Capiremo probabilmente a breve quale intonazione avrà in futuro il cinguettio più popolare del web.

giovedì 6 ottobre 2011

Angelo Ferrara e il brand naming secondo RobilantAssociati

Interviste a chi il naming lo fa #7

Prosegue la serie di "interviste a chi il naming lo fa". Il settimo appuntamento è con RobilantAssociati, realtà di cui ho già scritto altre volte in questo spazio. Tanto per intenderci sulla rilevanza di RobilantAssociati nel mondo del brand design potremmo ricordare alcune svolte epocali che ha introdotto (ovviamente in partnership con i propri clienti), cambiamenti che sono tutti i giorni sotto i nostri occhi: la revisione all'identità visiva dei Baci Perugina, con gli innamorati non più in primo piano ma spostati sullo sfondo e ringiovaniti, azione perseguita per "disimpegnare" e aggiornare questo cioccolatino altrimenti troppo compromesso con l'innamoramento e con un'immagine che ormai aveva trent'anni, le attuali versioni dell'identità visiva di marchi dell'importanza di Alfa Romeo, Fiat, Lancia. A parlare del brand naming in casa Robilant troviamo Angelo Ferrara, entrato nella struttura nel 2008 con l'incarico di direttore creativo della divisione Corporate Branding.

AC: Come si inserisce il naming nella ormai lunga storia di RobilantAssociati?
AF: RobilantAssociati ha sempre impostato con i propri clienti una partnership collaborativa, basata su fiducia e condivisione degli obiettivi. Questo ha permesso di essere coinvolti nelle fasi sempre più a monte dei processi di New Product Development, portando una conoscenza reale e intima delle dinamiche produttive e delle caratteristiche di prodotto.
Una simile vicinanza al cuore produttivo dell’impresa è la chiave per la definizione delle migliori strategie, finalizzate a valorizzare sul mercato il prodotto/servizio e i suoi punti di forza.
La richiesta dei nostri clienti di potersi affidare al nostro approccio olistico al brand anche per questo il servizio di naming è quindi cresciuta progressivamente e nel tempo la nostra expertise è maturata estendendosi dal naming di prodotto al naming per brand e servizi.

AC: Quali settori, dal vostro punto di vista, si dimostrano più attivi e anche sensibili a questa particolare tematica del branding?
AF: Il naming è fondamentale sicuramente per tutti i prodotti che nascono per il mercato consumer e rappresenta una forte leva per alcune operazioni di branding. Ma mentre la realizzazione di un nome per prodotti commerciali è quasi necessario, la creazione di un nome per un’azienda, uno studio legale o di un museo è più recente, e diventa sempre più rilevante. Questo settore ricerca in un nome il messaggio ed il racconto, che comunichi istantaneamente, che si incolli alla mente e abbia un suono “familiare”. In un mondo dove catturare l’attenzione è una sfida, il nome deve oggi diventare una piattaforma comunicativa. È quello che oggi viene chiamato “microstyle”.
Ma rifuggendo dall’uso del naming come esercizio creativo fine a sé stesso, RobilantAssociati ha sempre utilizzato il naming come strumento a completamento di strategie di branding fortemente legate all’identità dell’azienda e alle sue prospettive di sviluppo. Potremmo dire che realizziamo un nome solo dopo aver definito una storia.
Quando abbiamo realizzato il brand per il servizio di shuttle Alitalia tra Roma e Milano, abbiamo cercato un nome diretto e memorabile, in grado di comunicare la tempestività, l’efficienza e lo stile asciutto che il businessman ama. Il nome RomaMilano-MilanoRoma nella sua disarmante semplicità, racchiude tutto questo. Ma è stato anche avvallato da una brand image, uno stile di comunicazione ed elementi architettonici che hanno raccontato questo stile affascinante e asciutto. E surprise-surprise, il nome era anche disponibile per essere registrato.
Per InPartner abbiamo realizzato un nome, Parallelo, che non voleva solo delineare uno spazio, ma una nuova categoria nell’edilizia, da grattacielo (verticale) a Parallelo (orizzontale).
Per il consorzio Melinda abbiamo definito un nome che si sviluppa intorno al concept “Real Quality (of life)”, inteso come qualità totale della vita, per quei consumatori interessati a sapere non solo chi produce, ma anche come e da dove provengano i prodotti. Il nome From: diventa quindi sia nome che messaggio (where do you come From:?).

AC: Lei ha vissuto e operato all'estero per diversi anni. In riferimento a questa tematica specialistica, ha potuto constatare una specificità del naming (nell'approccio metodologico, nel modo di richiedere e/o offrire il servizio, nella considerazione dell'importante aspetto legale)?
AF: Nella mia esperienza all’estero, ma non ho mai partecipato ad una ricerca nomi “scientifica”. È sempre arrivato mentre si lavorava al progetto, in maniera maieutica. Si avvisava sempre il cliente che un nome non era un momento “eureka” e di pura genialità, che difficilmente ci si innamorava al primo momento, che bisognava avere coraggio (nomi che sono diventati vincenti nel mercato, venivano scartati durante le ricerche di mercato perché troppo audaci), che se ci faceva sentire a disagio, forse c’era qualcosa di interessante nel suo interno. Se un nome non era legalmente disponibile, si poteva cercare una modalità per risultare vincenti: il museo Tate Modern di Londra non ha un indirizzo web diretto (tate.com oppure tatemodern.com), ma la notorietà del luogo ha fatto sorpassare questo ostacolo. Ma un punto era imperativo: bisognava sempre vedere il nome insieme al suo abito: il nome è sempre legato al positioning e la brand identity.

AC: Nel vostro sito noto nella sezione "brand naming" una significativa presenza del "food&beverages". Soffermiamoci sul settore vinicolo. In questo blog ho parlato di wine naming in passato. Non crede che per un paese, un mercato e un contesto produttivo come l'Italia ci siano dei passi da gigante da compiere in questo preciso settore? È questa eventualmente l'occasione per lanciare qualche riflessione sullo stato di salute dei wine brands italiani? Al di là di quelle situazioni con una brand heritage notevole, ci potrebbe essere spazio per un'innovazione di prodotto che parta dall'analisi del mercato... e quindi la necessità di creazione di nuovi brand (di conseguenza nuovi brand name). Cosa ne pensa?
AF: In questo momento il comparto vitivinicolo italiano sta vivendo in realtà uno dei momenti di maggior successo, essendosi piazzato addirittura prima di quello francese per qualità e ricchezza dell’offerta. Tuttavia una riflessione sui suoi possibili sviluppi sarebbe di certo auspicabile, dal momento che nuovi attori si stanno affacciando a questo mercato con politiche di espansione sempre più aggressive.
Una serie di Paesi, primo fra tutti il Cile, pur non vantando la medesima tradizione e ricchezza dell’Italia in fatto di produzione vitivinicola, si stanno affermando sullo scenario internazionale grazie a piani strategici estremamente dettagliati e concreti volti alla conquista i mercati esteri.
L’Italia dal canto suo, pur nella sua eccellenza, paga il prezzo di un comparto molto frammentato e della mancanza di un piano di sviluppo concreto come sistema Paese con il quale presentarsi ai mercati stranieri. Singole strategie di brand, o di naming, non sono la risposta a problemi strutturali di questo tipo.

AC: Quali sono a vostro avviso i brand name più significativi comparsi negli ultimi anni? Brand name che in qualche modo segnano un momento, delineano un'innovazione, uniscono coraggio-creatività-visione?
AF: Amo i nomi composti, apparentemente banali: Walkman, Playstation, Blackberry, YouTube, Facebook. Nomi che diventano parte del nostro modo di parlare, che superano il prodotto stesso e si posizionano come nomi di categoria. Ma più che al nome stesso, sono affascinato ora dalla sinergia che si instaura fra il nome, il payoff e il manifesto. Sempre di più vediamo nomi che vengono raccontati attraverso una storia, un credo. Fra i più famosi, il video di Apple-Think different. Ho trovato questa magia anche nel brand telefonico Orange di Hutchison, un nome che non ha niente a che fare con tecnologia, ma con semplicità ed ottimismo, un nome che va contro i tecno-nome di Vodafone, T-Mobile o Cellnet. Un positivismo che si è manifestato non solo con il nome (è stato il primo ad introdurre il bill-per-second). Ma è con la sinergia del nome, payoff e campagna di lancio che ha costruito una forte piattaforma emotiva e strategica. I primi manifesti erano di colore nero e tappezzavano la città con dei semplici titoli in un sottilissimo Helvetica Neue: listen. cry. talk, laugh. E una frase di chiusura “the future is bright, the future is orange. Come si fa a non innamorarsi di un nome raccontato così?

martedì 4 ottobre 2011

Merkozy. Il naming dell'economista Nouriel Roubini















Già da qualche tempo, da quando i due uomini di stato ritratti qui sopra hanno cominciato un articolato lavoro in tandem, il linguaggio giornalistico ha fatto propria l'espressione Merkozy. L'utilità è evidente. Si tratta di un'etichetta comoda per riferirsi a quello che è considerato il duo del potere nell'Europa attuale. Dal momento che le notizie riguardanti questo "asse" diventano copiose, ecco arrivare l'economista Nouriel Roubini con questo gradevole neologismo. Pare proprio che il neologismo abbia fatto breccia e abbia colto un "bisogno latente" di veicolare un certo messaggio o un certo genere di notizia in modo sintetico, univoco e caratterizzante. Nouriel Roubini dimostra inoltre buone capacità di namer! Ha infatto sfruttato il gruppo di lettere centrali che accomuna i due cognomi (meRKel e saRKozy) e ha optato per un naming che lo recuperasse, assonante coi nomi di partenza, con l'invarianza del gruppo di lettere RK al centro: meRKozy. Ho cercato con google.com "merkozy" e il motore di ricerca restituisce circa 77.500 risultati. Merkozy insomma funziona, almeno a livello di naming! Una riprova che a volte esistano namers insospettabili e anche capaci e che le esigenze di naming nel mondo della notizia siano più frequenti di quanto si possa immaginare.