sabato 27 ottobre 2012

Digestive McVitie's, i biscotti che non sono digestivi

Nella confezione lo scrivono: questi biscotti non hanno proprietà digestive. Eppure chissà se quel nome, che anche in inglese ha a che fare con la digestione e l'apparato digerente, è servito a contribuire al duraturo successo nel mercato italiano. A ben vedere, non sono molti i biscotti non italiani che si sono imposti negli scaffali. Lo trovo un naming singolare. Da un lato il significato di "digestivo" è già presente nella lingua madre, quell'inglese richiamato come valore del prodotto dalla Union Jack posta nel retro della confezione e dall'altro registriamo la conservazione di quel significato anche nella lingua d'arrivo. A conclusione di questo ipotetico circolo virtuoso, troviamo però la dichiarazione del produttore: trattasi di biscotti che non hanno proprietà digestive. Il mondo del consumo è attento, talvolta ipercritico, talvolta beve e mangia di tutto. Quasi sicuramente, in questo caso, c'era il rischio di incorrere in un potenziale "inganno" del consumatore, proveniente non tanto dalla pubblicità (come spesso accade), bensì dal nome stesso. Ecco quindi le dichiarazioni del produttore sul retro della confezione. Certo che con un nome del genere è difficile pensare che almeno un aiutino alla digestione questi biscotti non lo diano (e comunque difficilmente penseremo a questi biscotti a base di frumento come "indigesti")!

sabato 20 ottobre 2012

Ancora sul naming di collane editoriali. Tornano "Le Silerchie" per Il Saggiatore

Che per l'editoria tradizionalmente intesa sia un momento singolare, unico, forse di svolta questo credo sia chiaro. Non parlerei nemmeno di crisi perché non ha senso, visto che non è la lettura, nel mondo almeno, ad essere profondamente in crisi (in Italia parzialmente sì, visto che proprio di recente due editori di piccole o medie dimensioni mi confermavano che i loro distributori considerano "a monte" perso il mercato del Sud dell'Italia... un dato economico e commerciale che mi ha fatto riflettere molto e che non so ancora ben interpretare, anche in chiave futura). Non parlerò però di ebook, di editoria digitale e altri sviluppi. Come è accaduto altre volte, mi soffermerò sul naming di collane editoriali. In questo caso si tratta di un naming riproposto dopo tanti anni, di una sorta di "ritorno alle origini" e alla riscoperta della storia della casa edrice e del valore del marchio che continua a rappresentare. Trovo curisioso come un "vecchio" palinsesto e contenitore editoriale come quello di "collana", una specie di ambiente ecosistemico che accoglie libri accomunati da qualcosa, dia prova di buona tenuta nel panorama contemporaneo, se non altro in quella sacca di resistenza che comunemente va sotto l'etichetta di "lettori forti". Le collane diventano allora microbrand editoriali con titoli, grafica, strategie promozionali dedicate e, nella loro elasticità, si prestano a catturare di volta in volta un trend, più o meno consolidato, una sensazione, un mood, un gruppo di testi, conferendo a questi un aspetto materialmente riconoscibile nel momento storico in cui l'editoria e il suo oggetto principe, il libro, sembrano in procinto di smaterializzarsi.

Recentemente la casa editrice Il Saggiatore, diretta da Luca Formenton, ha riproposto la storica denominazione de "Le Silerchie" come naming di una collana editoriale. Non sta riproponendo i titoli del passato, cioè di quegli anni Cinquanta e Sessanta in cui tale collana si affermò come fiore all'occhiello dell'editoria italiana, grazie all'intuizione felice di Alberto Mondadori coadiuvato da quel grande critico che fu Giacomo Debenedetti.

Ma cosa sono le Silerchie? Fu lo stesso Mondadori a spiegare il nome della collana a un lettore che s'era dimostrato incuriosito: 

Via delle Silerchie è una strada di campagna che si stacca dalla Nazionale Camaiore-Lucca, si inerpica sulle prime balze delle Alpi Apuane, poi diventa sentiero tra i boschi. Nell'ideare una collana di brevi libri attraenti e spesso illustri come il paesaggio della Versilia (si passa fin da queste prime tappe per Thomas Mann e Chagall, per Kafka, Alceo, Saffo, Jaspers), mi è parso di invitare il lettore a una poetica passeggiata, come quella che offre la via delle Silerchie, dove il paesaggio varia e si allarga di continuo.

Alberto Mondadori, dopo questa premessa alla Robert Walser, aggiungeva anche:

Siler, con il diminutivo silercula, rametto di vetrice con cui si facevano bastoncelli magici usati per scacciare le malattie e gli spiriti maligni, si offre un'interpretazione della collezione. Una collana dunque che mette in fuga malanni e malefizi: le confesso che mi rallegra l'idea di aver trovato senza saperlo un nome di così buono augurio per i lettori della Biblioteca delle Silerchie.

Nomen omen, valeva questo detto anche per il grande Alberto Mondadori, e di sicuro vale oggi per Luca Formenton, alla guida della casa editrice che porta un nome galileiano. "Silerchie" rimanda quindi a un nome di un luogo. Spesso si sente dire che i nomi dei luoghi non sono opportuni in operazioni di naming, e questa convinzione ha motivate ragioni che magari approfondiremo più avanti. Ci sono tuttavia nomi di luoghi (ad esempio Tiscali) che proprio in virtù del loro essere luoghi appartati e poco noti hanno saputo imporsi. Per le vecchie Silerchie questo era vero. Ci auguriamo lo stesso per le nuove.

(Sopra vi mostro come sono oggi "Le Silerchie" e com'era una vecchia copertina della collana. Non è difficile notare come "l'effetto Paolo-Giordano-Solitudine-Numeri-Primi" abbia davvero contaminato l'odierna grafica editoriale italiana, mentre appare davvero innovativa la copertina che fu riservata a Il trifoglio fiorito di Rafael Alberti. Che quello dell'editore debba tornare ad essere anche un mestiere "di coraggio"?).

sabato 13 ottobre 2012

Malanotte, il nome della Docg del vino

Il naming di un singolo vino può risultare molto importante, ne abbiamo già accennato. Ma anche il naming di una Docg può diventare, a sua volta, estremamente importante per le sorti di un vino prodotto secondo un determinato disciplinare e che giustamente aspira a farsi conoscere, non soltanto in Italia. Negli ultimi anni si è parlato spesso di Raboso, un vitigno tipico della zona del medio Piave. Le origini del nome Raboso sono contornate da una certa foschia. Più chiare invece le origini del nome che recentemente ha dato vita alla Docg Malanotte, mediante la quale viene nominato il "Raboso Piave" prodotto secondo una scrupolosa procedura. Il nome deriva da una famiglia insediatasi nel borgo omonimo di Tezze di Vazzola. Oggi, se vi capita di passare per Tezze, potete visitare questo borgo, denominato appunto Borgo Malanotte, la cui storia è anche intimamente legata agli avvenimenti della Prima guerra mondiale. Nel corso di quasi due secoli, questa famiglia introdusse radicali innovazioni agrarie in quel territorio planiziale (per inciso, territorio attraversato da un Piave che ha ancora l'aspetto torrentizio di un fiume di montagna e che diventa via via più addomesticato fiume di pianura verso Ponte di Piave e Salgareda) e che da Lovadina-Maserada sale dolcissimamente verso Conegliano, cittadina già in collina e sede dell'importante scuola enologica assai rinomata. Tale denominazione consente così di "dare un nome" al Raboso che negli ultimi anni aveva fatto parlar di sé. Questo vitigno, recuperato con grande acribia filologica e la cui lavorazione viene incanalata in una severa disciplinare, può finalmente essere proposto in bottiglie che riportano una dicitura come quella visibile nell'immagine sopra.

Da un punto di vista squisitamente commerciale e di marketing, quello che poi riguarda un blog come questo, un nome come Malanotte può giocare a favore dello sviluppo e della crescita della notorietà del brand-docg, evocando appunto un momento "incantato" della giornata, quella notte ricordata anche dalla falce di luna sopra le lettere -an- e che, probabilmente, richiama uno dei momenti-chiave del consumo del vino stesso. La configurazione quadrisillabica del nome non crea particolari difficoltà di pronuncia, anzi, conferisce corpo, sapore e rotondità al nome stesso. Buona fortuna allora a questo nome e, assieme ad esso, a questo vino di questi luoghi belli, così vicini a dove scrivo. Il quadro è completato dalla presenza del nome "Piave". Non ho dati certi in mano, ma credo che pochi fiumi, almeno in Italia, abbiano anche un peso così importante nel definire un universo di prodotti enologici. Curioso infine il fatto che la denominazione "Malanotte" già esistesse, depositata dalla locale cantina che, con lungimiranza, ha ceduto il marchionimo al consorzio di tutela.

sabato 6 ottobre 2012

I nomi degli yogurt da bere. La volta di Yakult

Mi pare di rilevare, dal mio limitato osservatorio, un movimento abbastanza vivace (o "frizzante", per usare un aggettivo di moda che però lascerei all'acqua e al vino e non riserverei ai nostri yogurt di oggi) nel settore degli yogurt-drink probiotici o yogurt da bere che dir si voglia. Ne abbiamo già parlato. Tra gli altri si ricordano Actimel di Danone, Lc1 di Nestlè e di recente pare aver attecchito abbastanza pure Yakult.

Nel sito italiano dedicato del prodotto leggiamo queste parole: 

Il nome “Yakult” si ispira alla parola “yahurto”, che in esperanto significa yogurt. Il nome fu scelto nel 1935 dal Dott. Minoru Shirota, lo scienziato e medico, nonché il fondatore di Yakult, che per primo isolò e coltivò il Lactobacillus casei Shirota (LcS). Il Dott. Shirota scelse l’esperanto perché all’epoca si pensava che sarebbe diventata la lingua mondiale e perché voleva rendere Yakult disponibile in tutto il mondo. 

Questa è la spiegazione di fonti ufficiali. Si configura quasi come una storia di un nome che racchiude al suo interno la cosiddetta mission. Quello che ravviso è comunque una tendenza al nome "pseudomedicinale" in queste categorie di prodotto. Sono yogurt probiotici e si posizionano sul terreno dell'alimentazione salutista-salutare. Il nome Yakult fonde al suo interno un inizio perfetto, "intonato" per la categoria (quella Y che lo accomuna a Yogurt o "yahurto") e la posizione delle lettere U e T, proprio come nella parola YOGURT: yAKuLt-yOGuRt. Ha quel suono che sa quasi di medicinale, e questo lo spinge a posizionarsi in un terreno assai vicino a quello dei concorrenti principali.

Che cosa succede però? Se il nome non si differenzia apertamente rispetto alla concorrenza, oppure se gioca altrettanto apertamente una strategia me-too (così come un croissant Paluani chiamato Palì corre in parallelo al ben noto Bondì Motta)
, allora intervengono altre strategie di differenziazione. E così mi pare di notare avvenga per Yakult: una diversa penetrazione del mercato in termini di tempo, con molte sponsorizzazioni in ambito sportivo, un solo gusto disponibile e non una marea di gusti come i prodotti concorrenti, quasi a sottolineare la fedeltà a un'antica formula di preparazione che si tramanda uguale da decenni, il packaging minimalista, che cadenza il consumo quotidiano in una confezione da 7, la differente forma della bottiglietta, che è tra l'altro più piccola (altro fattore che può rimandare ad esempio alle confezioni di fermenti che normalmente assumiamo). Insomma, in poche parole, i nostri nomi di prodotto non sono certo l'unica via per differenziare e posizionare un prodotto, è bene ricordare anche questo, che non sminuisce l'importanza "relativa" del naming in quadro di branding che potremmo definire olistico.