venerdì 29 dicembre 2017

Il nome del toast di strada

Lo street food tira che è un piacere, si sa. E nell'offerta composita di quanto si può mangiare lungo una strada non poteva mancare il toast. A dir quello che è, dopo le catene di hamburger o kebab mancava il toast che come tipologia di alimento che si presta a costruire attorno a sé un concept di offerta e quindi di comunicazione. Le catene che si affacciano sul panorama non stanno dimenticando il naming e nomi come Tosto, Capatoast, Streetoast o Toast-it danno l'impressione di aver giocato una carta rilevante del proprio marketing mix sin dal naming. Certo tutte sembrano soffermarsi a giocare attorno alla parola "toast". Tale scelta, come sappiamo, è dal principio una opzione efficace per comunicare precisamente e simpaticamente l'offerta in un panorama assai variegato. Nel lungo periodo, nel caso di estensione dell'offerta, potrebbe rivelarsi un limite. Ma è anche vero che siamo appena agli inizi e vedremo se qualcuno oserà qualcosa di diverso e fuori dal coro.

martedì 12 dicembre 2017

Engie, un nome nuovo per l'energia

Vi sarà capitato di ascoltare lo spot di Engie magari. E vi sarà capitato di leggere da qualche parte, anni fa, il nome GDF Suez. Il renaming di GDF Suez in Engie risale alla primavera dal 2015, secondo la pagina Wikipedia. Oggi Engie è un'azienda francese attiva nel settore della produzione e distribuzione di energia elettrica, nel settore del gas naturale e dell'energia rinnovabile. Si tratta di un'azienda prominente e allora tanto vale analizzarne il nome che da poco più di un paio d'anni porta. "Engie" ha più valenze: personalizza e ricorda il nome proprio "Angie" (come la canzone dei Rolling Stones), richiama il mondo dell'energia, visto che tra "Engie" e "Energy" c'è una sostanziale prossimità fonica e infine richiama curiosamente il mondo delle macchine e dell'ingegneria ("engine" è il motore in inglese, in francese perde la "e" finale e diventa "engin"). Engie allora appare come un nome ben ponderato, breve e luminoso con quelle "e" all'inizio e alla fine che lo avvicinano molto al mondo della rete e che assumono anche, secondo i principi del fonosimbolismo, valenze di velocità e prontezza coerenti con il settore d'attività dell'azienda.

martedì 21 novembre 2017

Ancora sul titolare i libri, da Paul Auster a Clara Sánchez

Ogni editore, editor e qualsiasi persona dentro l'editoria sa quale importanza riveste un titolo. A volte il titolo arriva presto, a volte come ultima cosa in un processo affrettato e concitato. Un titolo di un libro è a tutti gli effetti il naming di quel prodotto. Già è capitato di parlare di titoli come naming, anche in ambito giornalistico. Restando alle librerie, di mattoni o virtuali, fa impressione ad esempio la sequenza di titoli di Clara Sánchez, autrice di romanzi di successo: Il profumo delle foglie di limone, La meraviglia degli anni imperfetti, Le mille luci del mattino, La voce invisibile del vento, Lo stupore di una notte di luce, La forza imprevedibile delle parole. Sono titoli sostanzialmente identici nella struttura, fa davvero impressione e direi che è una configurazione quasi terribile. Sembra non ci sia scampo e ogni nuovo libro dell'autrice debba ricalcare questa struttura, che poi è analoga al titolo del best-seller di Paolo Giordano La solitudine dei numeri primi. Nel panorama si stacca il nuovo 4 3 2 1 di Paul Auster, il quale non fa nulla di rivoluzionario, ma ricorre a un espediente ben noto a chi si occupa di naming, vale a dire il naming numerico puro. Spesso numeri appaiono nei titoli, pensiamo ad esempio a Divertimento 1889 di Guido Morselli. Il titolo del recente libro di Auster però è puramente numerico e ci parla della struttura del libro in modo semplice e iconico. Inoltre è un titolo che non necessita di traduzione. L'identità del romanzo si presenta così, almeno in due elementi essenziali della copertina, identica a prescindere dal paese di pubblicazione.

martedì 14 novembre 2017

Spark, il social network di Amazon

C'era da aspettarselo che il protagonista indiscusso dello shopping online facesse un passo nel social networking, dal momento che le esperienze di condivisione e consumo sono nella realtà e nell'immaginazione così ravvicinate, contigue e quasi promiscue. Nasce così Amazon Spark, una sezione della sua app che invita gli utenti a fare quello che fanno già in altri social, cioè pubblicare e a guardare foto e video, con le immagini che diventano un punto di partenza per fare acquisti nel negozio online del gigante dell'ecommerce. La piccola grande differenza è che Amazon intende internalizzare questi comportamenti di condivisione. Dal punto di vista dell'ispirazione, il social a cui guarda Spark sono necessariamente quelli più visivi, vale a dire Instagram e Pinterest. Le possibilità di raccolta dati e di business intelligence di Amazon sono, come noto, davvero vaste. 

Il nome di questo social è curioso perché pone un'unica vocale, la A di Amazon, al centro. Sappiamo che "spark" per il Cambridge Dictionary è "a very small piece of fire that flies out from something that is burning, or one that is made by rubbing two hard things together, or a flash of light made by electricity". Chiaro è l'intento di optare per un nome che dica la viralità delle azioni di condivisione e acquisto in Rete.

giovedì 2 novembre 2017

Cuadro di Novi: licenze d'ortografia che fanno apparire spagnolo il cioccolato italiano "antisvizzero"

Dare un nome alla cioccolata non è facile. Eppure i Baci Perugina furono una grande innovazione anche dal punto di vista del naming. In questa branca del settore dolciario pare che l'innovazione nell'ambito del naming, soprattutto laddove si cerca di far percepire una qualità artigianale del prodotto, non sia un assillo per le aziende del settore. È un peccato, perché quello della cioccolata è un settore divertente e si presterebbe a qualche spinta eterodossa. Una piccola eccezione, anche se tenuta abbastanza a bada nel packaging e nel lettering, è la "violenza ortografica" compiuta da Novi nel naming dei cioccolatini quadrati a strati, i "cremini" per capirsi. Il naming che ne risulta è curioso. È nota infatti la storica copy strategy di Novi "Svizzero? No, Novi", tutta giocata sull'italianità della cioccolata, sulla competizione con la vicina Svizzera e ovviamente sulla ripetizione di "No, No-". Con il naming Cuadro Novi fa una rapida incursione in Spagna ("cuadro" infatti in spagnolo è il "quadro"), riferendosi alla forma del prodotto. Il nome tra l'altro conferma una tendenza ampiamente diffusa nel settore alimentare a ispirarsi alle forme dei prodotti per le denominazioni commerciali.

mercoledì 25 ottobre 2017

I giocattoli Arcofalc e un vecchio spot con la traduzione simultanea del naming

Quando si dice un flash. Mi è venuta in mente la Arcofalc, un'azienda di giocattoli molto in voga quand'ero bambino. Ho cercato degli spot pubblicitari della Arcofalc (che forse ora non esiste più, almeno così sembra da una rapida ricerca in rete). Mi sono imbattuto su questo del calcetto. Io scrivo "calcetto", ma guardate lo spot e sentite come il narratore scandisce il naming "Football Arcofalc", ricordando che si tratta di quello che comunemente un tempo si chiamava "calcetto" (e che oggi forse si ritorna a chiamare calcetto, o calcio balilla o biliardino). Fa sicuramente impressione questa accuratezza nella traduzione del naming, un naming assai generico fra l'altro. Certo, fa impressione molto altro, compreso il personaggio adulto che apre lo spot (dopo aver appoggiato la pipa!). Ad ogni modo ho trovato curiosa e interessante questa rara accuratezza di traduzione del naming del prodotto. Oggi in tivù non si traducono nemmeno espressioni più rare provenienti dall'inglese e viene da chiedersi cosa pensino certe persone anziane che l'inglese proprio non lo masticano e che tuttavia restano tra i principali fruitori del mezzo televisivo. La massa di ciò che si dà per scontato cresce di anno in anno a dismisura.



lunedì 16 ottobre 2017

Il naming di Kia Stonic

The name 'Stonic' combines 'Speedy' and 'Tonic,' which refers to the first and last note in the musical scale," si legge in rete su "Autoblog". "Thus, 'Stonic' suggests that the vehicle is agile and offers something new and fresh in the compact SUV segment". Insomma un naming che suggerisce agilità e freschezza nel segmento dove va a collocarsi. Di certo ricorda anche "stone", cioè qualcosa di inerte. E il finale in -nic di certo qualche rinvio a Scenic di Renault sembra offrirlo, non fosse altro per lo stesso numero di lettere del nome e la lettera iniziale. (D'accordo, Scenic e Stonic non sono auto in concorrenza.) Sempre "Autoblog" ricorda la vicinanza con Chevrolet Sonic. Naming eccentrico e stravagante, dunque, come capita spesso con le auto coreane le quali, sempre più, si fanno largo anche in Europa.

lunedì 2 ottobre 2017

Kinder Cards come interessante caso di ibridazione nel naming

Curioso come la generazione dei nativi digitali riscopra la carta... nelle carte. Siano queste carte dei Pokemon, Yu-Gi-Oh o Vanguard, non è difficile trovarli all'entrata delle scuole mentre maneggiano questi mazzi. E viene da pensare che sia questo il trend focalizzato da Kinder nel nominare un nuovo prodotto, il "foglio" di biscotto, sempre a base di latte e cioccolato, che assomiglia da vicino a una carta da collezione: Kinder Cards. Il naming è interessante per almeno un paio di ragioni: da un lato richiama il più volte ricordato mondo dei nomi alimentari che si rifanno al design del prodotto e dall'altro ibrida due universi, quello ludico del divertimento con quello alimentare. Da un punto di vista fonetico fa sicuramente gioco il finale dentale in -ds e anche la lettera "r" centrale consente associazioni positive con la sfera del gusto e della croccantezza. Da un punto di vista di struttura nominale, a livello fonetico, Kinder Cards si presenta con un nome doppiamente occlusivo velare sordo (Ki- Ca-).

martedì 26 settembre 2017

Valutazioni in ottica SEO per il naming dei prodotti continuativi

Prendiamo ad esempio una scarpa o un qualsiasi dispositivo elettronico. Molto spesso il marketing si è trovato davanti all'interrogativo (un vero e proprio bivio): cambiare il nome o continuare in scia quando si lancia sul mercato una prosecuzione e continuazione di un determinato prodotto. Oppure pensiamo all'universo dei detersivi, che è un campionario ricco di piccole variazioni su un nome storico, variazioni che spesso sanciscono i tanti passi in avanti di un prodotto consolidato. Ad arricchire il panorama di queste riflessioni circa l'opportunità di cambiare nome o continuare con "variazioni sul tema" oggi si affacciano nuove considerazioni che si possono fare in ottica SEO (Search Engine Optimization). Sappiamo tutti quanto difficile e strategico sia arrivare a mantenere determinate posizioni sui motori di ricerca e sappiamo anche quanto sia determinante l'anzianità sul web, la coerenza di contenuti, la stabilità di certe denominazioni e stringhe per la cosiddetta SERP. In questo scenario e data la rilevanza della vendita online, si può credere che sempre più si mostri come opzione preferibile quella del mantenimento di un nome per nuove generazioni dello stesso prodotto, soprattutto quando questo è già ottimamente posizionato sui motori. Questa almeno è una riflessione che mi viene da fare. Ma naturalmente possono arrivare sonore smentite dai professionisti della SEO.

martedì 12 settembre 2017

Il nome della catena "Il Tulipano": quasi un anagramma di pulito

Il Tulipano è il nome di una catena di negozi che vendono principalmente profumi, cosmetici e detersivi e tutta una serie di accessori connessi al mondo dell'igiene personale e della casa. Al momento i suoi punti vendita sono distribuiti nel territorio di Veneto e Friuli. Nell'ottica della grande distribuzione organizzata divisa tra Food e No Food, Il Tulipano rappresenta il classico esempio di catena specializzata nel comparto No Food. La concorrenza è molteplice e anche la concorrenza dei nomi è abbastanza vivace se pensiamo all'esempio interessante di Tigotà. Poi ci sono anche Caddy's o IperSoap. Per stare al nome "Il Tulipano" notavo l'altro giorno che, al di là delle chiare evocazioni di freschezza e profumo prelevate dal mondo floreale, la parola "TULIPanO" ha al suo interno la parola "PULITO".

mercoledì 23 agosto 2017

Se nessuno sa scrivere Schweppes...

Già abbiamo parlato del naming di Schweppes in questo vecchio post, facendolo ricadere nell'insieme degli esempi di naming fonosimbolici. L'altro giorno ho intercettato per radio uno spot che diceva circa "Schweppes, il gusto inconfondibile che nessuno sa scrivere". Chiaro è il richiamo alla difficoltà di scrittura del nome Schweppes. In tempi di scrittura facilitata o suggerita dai motori di ricerca, può darsi che esista un vero e proprio problema di ignoranza attorno alla corretta ortografia del nome di marca e Schweppes potrebbe ben rappresentare un caso di questo tipo. Nello spot radiofonico Schweppes ha scelto la strada dell'autoironia, anziché, ad esempio, fare uno spelling lettera per lettera del nome, cosa che sarebbe stata un pelo pesante e forse fastidiosa, quindi inefficace. Ora, pensandoci bene, che un brand si ritrovi nella condizione in cui il proprio nome si sa pronunciare ma non scrivere non è il massimo della vita. La marca è pur sempre il capitale simbolico attorno al quale si concentra ogni investimento, per cui sarebbe sempre opportuno che un naming fosse privo di pronunce e ortografie errate. Per questo motivo la strada dell'autoironia dello spot radiofonico mi è parsa un buon inizio per recuperare la corretta ortografia del nome Schweppes (che poi è così bello).

mercoledì 16 agosto 2017

Come Google o Apple nominano i propri servizi e prodotti

Si va verso una googleizzazione della vita quotidiana. Il neologismo un po' ci voleva. Magari di neologismi del genere ne esistono altri, già testati e più belli, ma un blog sul naming può prendersi la licenza di parlare di "googleizzazione" come di "progressiva tendenza della vita quotidiana e delle abitudini che la contraddistinguono ad avere al centro il noto di motore di ricerca Google e i suoi molteplici servizi, che vanno dalla semplice posta, alle mappe, alle schede sulle attività commerciali (il servizio My Business)". Quel che colpisce ad un rapido sguardo panoramico sui nomi dei servizi Google è la loro semplicità e schiettezza: il naming dice, più o meno direttamente, ciò che il servizio fa. Un altro esempio? La posta elettronica, battezzata all'epoca semplicemente Gmail, cioè la mail della grande G. Oppure il già ricordato servizio di mappatura denominato Maps. Quel che si ricava è che i vari servizi che stanno sotto il megabrand non hanno nomi particolarmente ricercati o fantasiosi, anzi, tutt'altro. Lo stesso vale, passando a un concorrente simbolico di Google, per Apple (esempi siano i nomi-brand assai semplici di iPhone o iPad o Watch). Ecco, una volta tanto ne ricaviamo forse una regola generale: più è grande e noto il megabrand globale che fa da ombrella a una serie di servizi, più è semplice e quasi banale la denominazione scelta per i servizi o i prodotti che stanno sotto questo megabrand globale.

lunedì 7 agosto 2017

Gogo, il nome dell'azienda che fa navigare sopra le nuvole

Estate tempo di viaggi e di aerei più frequenti. Anche no, in realtà, perché uno può prenderli tutto l'anno gli aerei e evitarli in estate. Oppure può non prenderli mai. Ad ogni modo, in estate tutto ciò che richiama il viaggio è spesso potenziato nell'eco. Ecco allora anche il "problema" della connettività laddove spesso manca, cioè all'interno degli aeromobili in volo. E tra chi offre servizi di connettività wi-fi sopra le nuvole spunta il simpatico e breve nome Gogo, letteraralmente, come leggiamo nel profilo Twitter, "the Inflight Internet Company. We are the leading global provider of broadband connectivity products and services for aviation". Il servizio, come si apprende anche dalla pagina Wikipedia, è ormai adottato da molte e importanti compagnie aeree. Il naming è risultato della collaborazione con Igor, un'agenzia americana interamente dedicata al naming. Se tra decollo e atterraggio un tempo si installava una sorta di discontinuità della connessione, ecco che anche a quella discontinuità si è pensato e si è pensato per porvi rimedio, ovviamente. Dal punto di vista del nome, risalente ormai al 2008, possiamo notare una certa vicinanza a un megabrand che fa la nostra quotidianità, Google, la semplicità della sillaba ripetuta e la rotondità sonora ripresa anche dal logo. Il nome breve si presta inoltre a essere declinato in altri nomi con l'aggiunta di suffissi, per esempio quando serve nominare un nuovo servizio legato a Gogo. Gogo presentava da subito caratteri di innovazione e mi pare oggi più che mai logico che l'occasione del giusto naming non venisse sprecata con l'adozione di un nome banale (in realtà spesso succede che un servizio innovativo venga banalizzato proprio dal naming e ciò non è mai un grande affare). Ecco allora le ragioni dell'intervento dell'agenzia specializzata Igor, sintetizzato anche qui per chi volesse approfondire (qui sotto invece, per concludere, un video del 2009 in cui Richard Branson annuncia Gogo Wi-Fi nella flotta di Virgin).

venerdì 28 luglio 2017

Il rebranding e renaming dei luoghi (da un articolo di "The Economist"

Pensiamo ad esempio a Fifh Avenue. Certi nomi di luoghi (vie e vicoli, arterie importanti, parchi, quartieri ecc.) sono diventati dei veri brand con una sorta di "posizionamento mentale" nella testa delle persone che li percepiscono e li usano a diversi livelli. Naturalmente è diverso lo statuto di questi brand topografici, dal momento che nei loro casi non si tratta di normali aziende che detengono un dato brand. Inoltre, a volte, manca la possibilità di individuare chi per primo ha denominato un dato luogo in un dato modo. L'articolo di "The Economist" a cui rinvio qui è interessante perché ripercorre il modo in cui si formano, si affermano e poi magari muoiono certe denominazioni in città come New York. Al di là delle curiosità che contiene, l'articolo pone l'attenzione su un aspetto rilevante: la necessità di nominare o anche rinominare un tessuto urbano in continua evoluzione può dare vita a denominazioni che paiono funzionare meglio di altre. Ad un livello secondario, è interessante notare come la pratica dell'acronimo, così diffusa nei nomi di musei (luoghi di città anche questi, in fin dei conti), sia ormai diffusissima anche nelle pratiche di denominazione delle parti di una città. La denominazione di luoghi tocca i tasti dell'identità, della sociologia urbana, della percezione del tessuto cittadino ed è un terreno d'osservazione privilegiato per osservare i mutamenti. Se penso all'Italia, ad esempio, penso a come siamo legati sempre al passato: quante volte una nuova area è stata ribattezzata "ex-qualcosa" in ricordo di quanto prima insisteva in quei metri quadrati? Anche questa tipica pratica italiana di denominazione dei nuovi luoghi mi pare possa essere spia di qualcosa.

mercoledì 19 luglio 2017

"We do the prep. You be the chef". Il marchio per i kit-pasto di Amazon

Che Amazon punti sempre più a una massiccia presenza nella quotidianità di ciascun consumatore che acquista online è evidente. Già "l'acquisto su Amazon" è diventato tema di conversazione nei luoghi e contesti più disparati, quasi fosse un'azione particolarmente qualificante (probabilmente chi racconta di aver comprato su Amazon qualcosa che prima comprava altrove si sente pioniere). E da un po', con l'aprirsi alla spesa e alle sue "liste" (vedi Amazon Pantry), il tentativo di Amazon di diventare sempre più presente nel quotidiano è innescato. In quest'ottica, il nuovo marchio registrato per i kit-pasto "We do the prep. You be the chef" incuriosisce per la lunghezza del naming (si legge qualcosa qui). Al di là delle considerazioni sociologiche o culinarie che si possono ricamare attorno a questa notizia, per restare al nome notiamo una certa simmetria costruita attorno al punto centrale: We/You, do/be, the/the, prep/chef. La simmetria è anche nella quantità di sillabe. Nome lungo, sì, ma con un certa logica e sonorità. Staremo a vedere, per ora si parla appunto di deposito del marchio.

lunedì 10 luglio 2017

Sul nome Zipack per degli zaini

Non si aspetta più agosto per pubblicizzare zaini, astucci e altri prodotti destinati perlopiù a quel periodo che altrove, commercialmente, definiscono "back to school". Adesso la pubblicità degli zaini appare sui canali televisivi per i più piccoli già a inizio luglio, a scuola appena finita o ancora in corso. Mitama sta presentando una linea di zaini dal nome Zipack. Ora tutti sanno qual è il nome dell'azienda concorrente da battere ed è abbastanza chiaro che si vuole giocare col naming una strategia me-too con Eastpak. C'è una sostanziale differenza nel suffisso, con la "c" in Zipack, senza "c" in Eastpak. Tuttavia è chiaro che la partita si gioca in quell'universo sonoro e forse nel richiamo al concetto di "zip", nelle prime tre lettere del nome "Zipack" (si veda anche il protagonismo della zip nella foto accanto). Staremo a vedere come sarà questa concorrenza osservando cosa c'è sulle spalle degli alunni d'Italia. Per ora Eastpak pare davvero un cliente difficile da scalzare, protagonista di un'ascesa davvero curiosa negli ultimi decenni.

mercoledì 5 luglio 2017

Il renaming del direttore d'orchestra (sul branding in musica)

Ultimamente, per vari motivi, mi sto interessando di direttori d'orchestra. Nessuna velleità, non ci capisco granché, ma certi aspetti mi incuriosiscono. Ad esempio mi piacerebbe un sacco approfondire la figura di Arturo Toscanini, ma questo non è il posto per scrivere troppo dei miei desideri irrealizzati. Al di là di questo, oltre ai nomi noti del Novecento, mi sono imbattuto anche in nomi meno noti, magari trovati sul retro dei CD DeAgostini che comperavo a 16 anni a 9.900 lire in edicola, tanto per comporre una prima collezione di capolavori. Un nome che mi era sempre rimasto impresso è Alberto Lizzio, così l'altro giorno ho fatto qualche ricerca più motivata e ho scoperto che sostanzialmente si tratta di un nome fantasma che potrebbe nascondere il nome di qualche altro direttore ben più noto. La faccenda è spiegata ad esempio qui in inglese o qui in italiano. Che cosa si può ricavare da queste scelte? Che probabilmente anche le case discografiche e i direttori d'orchestra agiscono - e non da oggi - come brand, e quando le loro registrazioni passano a un mercato di massa e economico, nelle cosiddette linee "budget" (i prodotti "da cesta" del supermercato, direbbe un mio collega, oppure da edicola, come era la serie che compravo io) si cambia nome al direttore, probabilmente per non intaccare il prestigio del vero nome che rimane il brand principale. Il meccanismo non è dissimile da quando compriamo un prodotto di una "sottomarca" in un discount che però ha lo stesso gusto del prodotto più noto di marca che troviamo nel supermercato dall'altra parte della strada. Per la cronaca: recentemente, comunque, anche i CD della storica Deutsche Grammaphon si trovano nella cesta delle librerie Feltrinelli.

lunedì 26 giugno 2017

Perché il nome Volkswagen Arteon

Nel settore della auto executive o premium si è affacciato un nuovo naming in casa Volkswagen. Dopo la CC, berlina coupé 4 porte, è arrivata Arteon. Il nome si configura come combinazione e fusione delle parole "art" e "eon". Per la casa automobilistica si tratta di un'auto di punta rappresentativa di una "new progressive design language". Nell'articolo appena linkato leggiamo anche: "VW said the name Arteon is made up of two component parts: "Art" describes its "harmonious lines and emotionality." The ending "eon" identifies it as a premium model, in the same way as VW's top model for the Chinese market, the Phideon." Questo è un esempio di come il suffisso sia utilizzato per inquadrare il modello all'interno di un certo segmento, cioè quello premium o executive. 

Il naming delle auto si conferma ancora molto legato a prefissi e suffissi e questa tradizione, di matrice ingegneristica, si conferma ancora vitale. Diverso il caso di modelli di auto che nascono come avulsi da una serie, come potrebbe essere ad esempio il caso di una piccola come la "Seat Mii". In questo secondo caso si privilegia una forte personalizzazione del nuovo modello d'auto. Non vi è ancora una regola, ogni casa ne segue di proprie (Renault ad esempio per il segmento premium ha adottato il nome Talisman). 

venerdì 16 giugno 2017

Alpro, a base di soia (ma pensavo alle Alpi e al latte)

Ecco una situazione curiosa che si è creata facendo la spesa. Volevo prendere uno yogurt diverso, tanto per cambiare, è la scelta è caduta su un prodotto della linea Alpro, che non conoscevo. Con un nome che contiene la radice "Alp-" davo per scontato che si trattasse di un normale yogurt, un latticino del banco dei freschi del supermercato. Probabilmente pensavo all'ennesimo caso di connotazione alpina di prodotti lattiero-caseari (per inciso si prendano certe confezioni di Mila per capire come si giochi con un certo immaginario dell'Alto Adige, soprattutto a livello di un curioso dressing code delle figure umane ritratte). Ad ogni modo, chi conosce bene la linea Alpro, mi dirà che così non è, che Alpro presenta una linea di prodotti a latte di soia (e di prodotti di origine vegetale), e questo l'ho capito dopo il primo cucchiaino, perché in linea di massima non mi piacciono né il latte di soia né i suoi derivati. L'esempio mi è parso curioso di come un nome possa risultare, nel contesto di una solita spesa frettolosa, depistante. Ovviamente il problema non si porrà per chi ama i prodotti a base di soia e quelli di Alpro in particolare. La domanda che mi sono fatto è comunque questa: chiamando Alpro questi prodotti, si sono resi conto che potevano alludere al mondo delle Alpi e del latte? Sarebbe una cosa da chiedere a questa azienda belga.

lunedì 5 giugno 2017

twago vi ricorda qualcosa?

twago si definisce "una piattaforma leader in Europa per l'incontro tra clienti e fornitori di servizi". A noi interessano principalmente due cose, il nome e il dominio Internet che si sviluppa in sole cinque lettere. Qualsiasi orecchio allenato non potrà non riscontrare una qualche vicinanza con esempi di naming per il web che hanno fatto epoca, nella fattispecie si rimanda a Trivago. Che il naming possa seguire delle mode o delle "sensazioni in corso" è cosa fuori di dubbio (pensiamo ad esempio a un certo insediamento dei nomi trisillabici nei progetti legati al web, come ad esempio Subito.it, Segugio.it e l'appena ricordato Trivago). Nel caso di twago e Trivago va notato che il contesto è sicuramente diverso, dal momento che Trivago opera nell'affollato e determinante settore turistico che dal web e col web è stato trasformato. Tuttavia, di base, ogni progetto che si mette in rete ha come obbiettivo quello di far incontrare qualcuno o qualcosa. Di questo dobbiamo tenerne conto e non mi sarei sentito molto sereno a lanciare un naming come twago.

lunedì 29 maggio 2017

Wi-Bike di Piaggio: quale nome per un progetto così innovativo?

Interessante caso di innovazione di prodotto è Wi-Bike di Piaggio, bici a pedalata assistita perfettamente controllabile in ottica antifurto e dotata delle più aggiornate modalità di connessione "smart" oggi sul mercato. Chi non l'ha ancora vista può fare la conoscenza di tutte le sue caratteristiche a partire da questa pagina web. I contenuti di innovazione e di discussione per i nuovi appassionati sono davvero molti e notevoli, tanto che si legge addirittura di Wi-Bike come nuovo stile di vita e non di semplice bici a pedalata assistita. Il mercato della cosiddetta "urban mobility" è appunto in movimento, prova ne sia anche l'entrata di referenze come monopattini e hoverboard nellle grandi catene di negozi di elettronica (in questi casi è più l'effetto gadget del momento che fa la differenza, ma nella sostanza la realtà è che a Parigi il monopattino è già una realtà di mobilità da anni). Come sempre, quello che ci interessa qui è principalmente il naming, ma la premessa sui molti contenuti innovativi di Wi-Bike era d'obbligo, perché un nome dovrebbe sempre cercare di sforzarsi di comunicare questi contenuti o quantomeno alludere a questi. Il nome Wi-Bike ha diverse caratteristiche che balzano all'occhio: contiene la parola "Bike" al suo interno (come iPhone), parola che però rimanda sia al mondo della bici che a quello della motorizzazione. Inizia con la particella "Wi" che richiama sicuramente alla mobilità del Wi-Fi, il mondo ludico della Wii, ma anche il "We", "noi", rinviando al senso di una sorta di "community" che potrebbe crearsi attorno al nuovo prodotto. Insomma, è pienamente un naming del ventunesimo secolo. Fino a vent'anni fa difficilmente si sarebbe approcciato così un tale prodotto dal punto di vista del naming. Il Ciao era un prodotto Piaggio assai innovativo e si chiamava appunto Ciao. Per un prodotto con tale contenuto innovativo si avrebbe probabilmente preferito una denominazione slegata dalla categoria merceologica. Ma i tempi cambiano e progettare un nome del genere ai tempi del web significa già risparmiare un click, una scrollata o qualche secondo per capire di quale tipologia di prodotto stiamo parlando. Del resto non è un mistero che Internet abbia riportato alla ribalta le tematiche di marketing di prodotto puro, dove si gioca la partita dei contenuti e delle prestazioni. Questo però non significa che si debba sempre rinunciare a un pizzico di fantasia nei nomi.

mercoledì 24 maggio 2017

La rivista di calcio 11 (Undici)

Il naming numerico è sempre stato impiegato. Pensiamo alle auto, oppure a un profumo (palindromo) come 1881. I numeri poi sono spesso giocati in nomi composti alfanumerici. Tra i vari esempi che si possono trovare - e questo in fin dei conti è un blog di esempi, spunti - citiamo la rivista calcistica 11 - Undici. Come vedete nella copertina accanto, il logo è formato dalle due cifre "1" accostate in modo da creare un dato gioco grafico. Quello che però incuriosisce è l'esser dovuti ricorrere alla ridondanza della parola "Undici" posta sotto il logo principale, quasi a disambiguare o comunque a rassicurare su quanto si deve leggere nel logo. Da un punto di vista complessivo colpisce il taglio individuale che spesso si dà al trattamento della notizia calcistica e il nome "di squadra" rappresentato da 11 - Undici, il quale rimanda al collettivo degli undici giocatori messi in campo. Le copertine che ho visto sinora sono tutte giocate su un forte taglio individuale dell'immagine e credo che raramente troveremo in copertina il ritratto completo di una squadra di undici. Il risultato d'insieme appare sicuramente molto forte dal punto di vista iconico (nome, logo, immagine del singolo calciatore giocata in primo piano in copertina) ma leggermente dissonante dal punto di vista "olistico".

lunedì 15 maggio 2017

POP arriva nel canale 45 del digitale terrestre. Nuovi nomi e numeri per i canali

In Italia, a inizio maggio, è debuttato nel canale 45 del digitale terrestre POP, nuova proposta per bambini focalizzata sulla fascia d'eta che va dai 6 ai 9 anni. Dopo il lancio in altri paesi europei, il canale "Free-To-Air" di Sony Pictures Network Television arriva quindi anche qui e si distingue per un nome semplice, breve, palindromo. Oltre all'offerta del palinsesto, per lanciare un nuovo canale del digitale terrestre, due ingredienti sembrano oggi fondamentali: il numero e il nome. Si osserva una certa vivacità di naming nei canali dedicati ai più piccoli, mentre il numero sembra ancora giocare una parte fondamentale nel naming dei canali per il pubblico adulto e su questo possiamo rimandare anche al recente caso di "Nove" sul canale 9, dove è curioso il ricorso al nome scritto, preferito al numero cardinale. Il ricorso al numero può avere senso per un canale che occupa la posizione numero 9 (una cifra soltanto), meno forse per uno che occupa una posizione più alta. Ad ogni modo per la costruzione di un vero posizionamento credo sia più indicata la strada di un naming verbale e non numerico. Se un canale interessa davvero si può cercare a prescindere dal numero. I naming numerici sono stati inaugurati da Rete 4 e Canale 5 e rafforzati da La7, in altre epoche del consumo di immagini televisive, e non mi sembrano più necessari o efficaci.

martedì 2 maggio 2017

I cinque consigli contraddittori sul naming di Valentina Durante (e un rinvio al sito di Annamaria Testa)

Tra i molti articoli sintetici e divisi per punti che si possono reperire scandagliando la rete, ho trovato molto interessante (e diverso dai soliti) un recentissimo contributo di Valentina Durante reperibile qui, nel blog del sito "Valentina Durante - Copy & Story". Il post, tra l'altro ricco di quegli esempi sempre richiesti e fondamentali quando si parla di naming, è costruito su una lucida contrapposizione tra due copywriter distanziati da secoli, David Ogilvy da un lato e Alessandro Manzoni dall'altro. In chiusura d'articolo Valentina Durante giustamente rimanda ad altre risorse fondamentali per il naming, vale a dire gli scritti di Annamaria Testa che si possono leggere a partire da questo link. Per chi si interessa di nomi e naming, l'invito è dunque quello di cliccare su entrambi i link menzionati sopra.

giovedì 27 aprile 2017

La rete ha avuto e avrà un impatto nel modo in cui denomineremo i nuovi prodotti?

Una riflessione a margine sui destini del brand naming in quanto pratica adottata per il lancio di nuovi prodotti, soprattutto alla luce della rilevanza delle piattaforme digitali che diventano centrali nel lancio dei prodotti stessi. Faccio un passo indietro: in un contesto che prevedeva la comunicazione di massa, i GRP della pubblicità, l'uno-a-molti come piano di comunicazione, il nome doveva dimostrare determinate caratteristiche. Le sappiamo: essere memorabile, fantasioso, libero da associazioni negative, esportabile, in grado di posizionare un prodotto o un'azienda nella testa di un consumatore. Il nome è (era) un personaggio della storia del lancio del prodotto. Molto banalmente - e molto brevemente - la riflessione che sento si potrebbe fare è circa questa: in un contesto dove le piattaforme piatte e nodali della rete e dei social prendono il sopravvento anche nel lancio di un prodotto, che cosa muta per il destino della pratica del naming? I nomi potranno anche assomigliare a banali sigle come "3XJS" da affiancare a una mother-brand nella stringa di denominazione (struttura nominale) che digitiamo nelle barre di ricerca dei motori o dei vari siti, inclusi quelli di e-commerce sempre più potenti e centrali? Assisteremo quindi sempre più al ritorno di naming meno ricercati e evocativi, meno "raccontati" e in fondo anche più rinunciatari nella loro storica vocazione a posizionare il prodotto che tengono a battesimo? Sono tutte domande plausibili, io credo. A mio avviso già qualcosa sta cambiando e il nuovo universo di comunicazione inizia ad avere delle ricadute nelle pratiche di denominazione che si erano consolidate in un'epoca dove erano prioritarie altre sollecitazioni e altri mezzi. Sicuramente ogni nuovo prodotto da lanciare continuerà a costituire caso a sé e continueranno a tener banco, ad esempio, determinate problematiche legali. Tuttavia non mi stupirei che nel futuro possano ritornare molto in voga delle sigle apparentemente asettiche a battezzare i prodotti, accompagnate da delle descrizioni su cosa il prodotto fa o cosa il prodotto è (questo varrebbe per la SEO e naming e SEO possono essere ormai inquadrati come attività affini). Chi si occupa di naming dovrà comunque continuare a tenere presente le problematiche legali, linguistiche e di marketing che ogni nuovo nome mette in campo e essere più consapevole delle dinamiche e dei mezzi con cui il nuovo nome verrà veicolato.

martedì 18 aprile 2017

Tuc Stick: quando il suono di un nome ne suggerisce un altro

Mi pare evidente che nel caso del prodotto raffigurato a lato si presenta una situazione abbastanza curiosa: un nuovo nome, tutto sommato assai prevedibile come "stick" (i grissini in inglese sono "breadsticks") si rafforza sonoramente grazie alla vicinanza con il brand principale TUC. TUC e STICK diventano così una sorta di "gruppo nominale" formato da due parole con suoni affini, suoni secchi e "croccanti", che si rafforzano e completano proprio nella vicinanza. Questo esempio mi pare utile per dimostrare un assunto semplice: anche le scelte apparentemente più banali possono assumere determinati valori (qui necessariamente valori fonosimbolici) alla luce di una data nuova struttura nominale del prodotto creato a seguito di un classico processo di brand extension.

venerdì 7 aprile 2017

"Language design. Guida all'usabilità delle parole per professionisti della comunicazione" di Yvonne Bindi

Questo blog tratta principalmente di problematiche legate al naming e ai nomi di marche e prodotti. Tuttavia, sin dal suo sottotitolo, è chiaro l'interesse per ciò che è "microtesto". Ora, prima di procedere bisognerebbe definire bene cos'è un microtesto, ma facciamo finta di esserci intesi e di accontentarci delle nostre intuizioni e che il pulsante (pulsante?) arancione che io vedo ora nell'interfaccia di gestione di questo blog in alto a destra e che dice "Pubblica" sia un chiaro esempio di microtesto. Sono 4 i pulsanti in alto a destra nello schermo, uno dice appunto "Pubblica", uno "Salva", un altro "Anteprima" e infine "Esci". "Pubblica" ha un colore diverso dagli altri tre. La cosa interessante è che tre su quattro danno un ordine sotto forma di verbo, mentre "Anteprima" no. Chi progetta simili interfacce, chi si occupa di terminologia o anche chi si occupa di verbal branding e chi si interessa di architetture dell'informazione, sa bene quante problematiche ponga l'uso delle parole a un livello micro. Lo sa bene anche Yvonne Bindi, laureata in Comunicazione Internazionale, che è architetto dell’informazione ed esperta di linguaggio e comunicazione, e da poco ha dato alle stampe per Apogeo il libro Language design. Guida all'usabilità delle parole per professionisti della comunicazione (pp. 216, euro 24,90). Quando scrive "Progettare per il tempo vuol dire non pensare mai prima o poi lo capiranno. Devono capirlo prima. Punto e basta." dice qualcosa che è valido anche per il nostro naming, qualcosa valido in tutti quegli utilizzi in cui la lingua è scommessa di comprensione, interfaccia disegnata in anticipo (e in fondo potrebbe essere interessante studiare i nomi di marche proprio come "interfacce" e dispositivi che interagiscono con logo, packaging, ambienti e situazioni comunicative reali e virtuali).

Il libro in questione va inquadrato come un importante contributo a quanto cade sotto l'etichetta di "user experience design" e se vogliamo anche al grande capitolo del "fare cose con le parole", anche se non di atti linguistici propriamente si parla. Progettare e disporre l'informazione è un compito delicato, difficile, mai scontato. Segnaliamo questo volume di Yvonne Bindi in un blog dedicato al naming e ai microtesti perché è una lettura significativa per chiunque si occupi di marketing e di quella parte del lavoro di marketing e comunicazione che è direttamente collegato a lavori con le parole, all'interazione parola e immagine (e anche il naming e il verbal branding prevedono questa interazione). Insomma, le parole sono interfacce importantissime di qualsiasi ambiente informativo e di qualsiasi progetto di comunicazione e spesso creano divergenze e sprechi nei meccanismi della comprensione. Per Donald Davidson è la comprensione che dà vita al significato, non viceversa, ma in tutti quei sistemi in cui serve massimizzare lo sforzo per far sì che la comprensione diventi un fenomeno certo e raggiungibile nel più grande numero di casi (e nel minor tempo possibile), serve fare in modo che si riduca al massimo il rischio di incomprensioni sorte da un inappropriato utilizzo delle parole. Gli esempi contenuti nel volume sono moltissimi e trasformano questo libro in uno strumento molto duttile, in grado di intercettare interessi molteplici. In un passaggio dedicato proprio ai nomi si legge:
Un nome è già di per sé una piccola definizione, uno spazio concettuale molto più ampio dello spazio fisico che occupa. Può contenere molto profumo dell’informazione rispetto a ciò a che indica: può cioè anticipare e suggerire l’essenza della cosa nominata e fornire un assaggio della sua natura.

lunedì 27 marzo 2017

Il naming di un nuovo esercizio commerciale

Davanti alla necessità di denominare un nuovo esercizio commerciale (anche una catena di negozi o franchising) bisogna fare i conti con una domanda chiave: andrò a citare il mio prodotto di riferimento oppure no? Se faccio pizza per asporto ci metterò dentro la parola "pizza"? Se apro una gelateria ci metterò dentro la parola "gelato"? La quasi totalità dei casi vede una risposta affermativa a questa domanda. E si capisce bene il motivo: un esercizio commerciale, come quello di una pizzeria per asporto o una gelateria, ha bisogno di identificazione immediata sul territorio e si privilegia un naming concreto, anche se spesso banale e ripetitivo (già sentito). Questo non toglie che si possa provare ogni tanto a osare e spingersi con qualche soluzione che vada oltre un classico "Gelatomania" o "Pazzi per la pizza" pur rimanendo sui binari della concretezza. Ho scelto appositamente due tra le più diffuse attività commerciali, due tipologie di esercizio che aprono e chiudono con grande intensità. Vorrei però portare due esempi nell'ambito delle pizzerie per asporto e si tratta di due "catene" o "franchising". Il fatto che siano catene o franchising già implica che c'è forse stata una riflessione maggiore e più consapevole al momento del lancio che denota la consapevolezza della possibilità di diventare brand, se non altro a livello di un territorio circoscritto. La prima denominazione è "Pizzevia" e, nella sua semplicità, unisce il prodotto e il concetto di asporto, creando una parola-nome quasi identica a "pizzeria". La seconda è "Pizzalonga away". Quest'ultimo è un esempio interessante soprattutto per la cura mostrata nella scelta del nome di dominio: per evitare l'incontro di due vocali nel nome di dominio si è optato per "pizzalongaway.it" creando un'espressione che dice in sostanza, in inglese, "alla maniera di Pizzalonga".

lunedì 20 marzo 2017

Cibo e design: l'esempio di Cheestrings da Yomino

Mi è capitato altre volte di far notare come nel settore food, spesso racchiuso nell'etichetta food&beverage, l'aspetto legato al design, alla forma, alla funzionalità del packaging prenda il sopravvento in fase di denominazione di un prodotto. Si tratta di un procedimento interessante, che avvicina curiosamente due mondi, quello del cibo a quello del design, che a ben vedere hanno sempre mostrato di far incrociare le strade della forma con quelle della denominazione, anche per prodotti che non sarebbero finiti sugli scaffali o nei banchi frigo dei supermercati. Nel tempo mi sono preoccupato di dare con una certa frequenza qualche nuovo esempio di questa che penso si possa oramai definire una tendenza conclamata e trasversale, in più paesi e culture. Un ultimo esempio in questo senso può essere rappresentato dal prodotto Cheestrings proposto nel mercato italiano da Yomino a un'utenza particolarmente giovane. La denominazione è composta, ottenuta con l'elisione della "e" di "cheese". Il pack personifica il prodotto mediante la creazione di un personaggio dalla testa formata da corde di formaggio.

sabato 11 marzo 2017

La nave di Teseo come esempio di naming editoriale recente

Nonostante i rivolgimenti, le fusioni, le acquisizioni e i conseguenti passaggi di mano e nonostante persino qualche fallimento che ha lasciato dei buchi, il panorama dei nomi delle case editrici italiane rimane saldamente novecentesco. In quel secolo si sono infatti consolidati i marchi editoriali che tuttora troviamo più facilmente quando camminiamo tra gli scaffali di una libreria di mattoni o navighiamo tra quelli di una libreria virtuale. I marchi editoriali recenti e con una discreta visibilità in libreria non sono moltissimi (anni fa se n'era affacciato uno con buona visibilità, Isbn edizioni, ma è appunto anche scomparso). Ora, se devo pensare a marchi apparsi di recente e con una buona visibilità, penso ad esempio a NN Editore, che deve buona parte della sua visibilità a un autore come Kent Haruf, e a La nave di Teseo, la casa editrice guidata da Elisabetta Sgarbi, che ha tratto in salvo parte del "pacchetto autori" che apparteneva a Bompiani prima del passaggio di questa a Giunti e che sicuramente presenta già un catalogo articolato con una buona visibilità in libreria. Il nome La nave di Teseo è un "classico" esempio di naming mitologico, che da un lato sembra accompagnare l'azione di traghettamento che ha segnato la prima fase di vita di questa casa editrice e dall'altro si presta ad assecondare le future navigazioni del catalogo (rimanda inoltre al "paradosso della nave di Teseo", di cui potete leggere qualcosa qui). I naming riconducibili alla mitologia, come noto a chi si interessa di nomi di marca, sono tra quelli più antichi e quello dei miti è un bacino che viene continuamente rispolverato per nuovi attingimenti.

lunedì 6 marzo 2017

Il nome di un festival culturale

Se c'è un "settore" che in qualche modo ancora tira, questo è quello dei festival. Probabilmente l'apice è stato raggiunto, ma possiamo notare che c'è ancora una qualche parvenza di fermento. In questo post mi propongo di analizzare assai brevemente le direttive di sviluppo più significative lungo le quali si orientano le scelte di naming per i festival culturali. Uno degli aspetti che balza all'occhio è quello della "materia". Esiste infatti il festival di filosofia, di diritto, di economia o il Festivaletteratura. A questi si associa una località, ma non nel naming stesso. Credo possa essere questa appena citata la prima tendenza raggruppabile, un modo di denominare che ricalca quasi una struttura universitaria e positivistica dei saperi. Poi possiamo individuare un nutrito gruppo di festival che si propone di mettere in chiaro la località che lo ospita sin dal nome (Pisa Book Festival, Pordenonelegge, Umbria Jazz o il Mesthriller di Mestre). Chiaramente qui si cerca di creare sin dal nome un legame forte tra festival e territorio. Ci sono poi esempi di denominazioni curiose, giochi di parole come CaLibro o Letteraltura, due festival letterari e del libro che rimandano da un lato al càlibro e nell'altro alla letteratura di montagna, esplorazione e avventura. Ci sono poi esempi come Sabir Fest per il quale rimando al significato della stessa parola "sabir" e che ben si accorda a un festival dedicato al Mediterraneo, pur senza nominare il Mediterraneo (che compare solo nel sottotitolo e nella descrizione del festival). Ognuna di queste scelte può corrispondere a una volontà precisa e ognuna può presentare vantaggi e svantaggi (ad esempio non sarà facile esportare come format un brand di un festival che ha una forte componente geografica nel nome). Ad ogni modo è curioso continuare a monitorare i naming di questi prodotti culturali.

sabato 25 febbraio 2017

I nomi di Alfa Romeo

Il 2017 sarà un anno importante per la casa automobilistica Alfa Romeo, l'anno di lancio di un proprio SUV denominato Stelvio. Lo slogan è in realtà "Quando finisce il SUV, comincia Stelvio", come a ribadire la volontà di molte case costruttrici a giocare a spostare il confine delle etichette che continuamente si cercano per catalogare le auto che escono (lo slogan sembra quasi suggerire che l'era del SUV è finita e incomincia qualcosa di simile ma diverso, di cui Stelvio è capofila). Dando un'occhiata simultanea al parco nomi di Alfa Romeo emerge chiaramente un gusto per il richiamo della heritage di marca. I modelli attualmente presenti nel sito sono Giulia, Giulietta, 4C, 4C Spider, Mito e appunto Stelvio. Se Giulia e Giulietta richiamano la storia del "Biscione" (così si trova denominata la casa di Arese), Mito mi pare, di tutti quanti i nomi, il più innovativo. Si tratta di un nome che naturalmente, oltre alla parola di dizionario carica di significato e alone, rinvia anche alle sigle delle province dell'asse Mi-lano e To-rino. Per quanto riguarda Stelvio, è chiaro che si tratta di un naming di ispirazione geografica, dal Passo dello Stelvio. I nomi d'auto di ispirazione geografica hanno una lunga tradizione, in Italia e non solo. C'è chi li ama e chi li sconsiglia. Stelvio è un nome che offre una connotazione montana all'auto, che vuole richiamare il piacere di guida che si può trovare tra i tornanti. La parola "Stelvio" è in sé interessante, da un lato c'è la sillaba "stel-" che richiama anche l'acciaio, dall'atro "-vio" che richiama concetti come "via", "velocità". Resta però che per chi sa cos'è lo Stelvio, la percezione geografica sarà sempre preponderante.

giovedì 16 febbraio 2017

I nomi di Ikea e il suo impatto linguistico

Se c'è un'azienda in grado di tenere un'attenzione pressoché costante verso i propri nomi questa è Ikea. Periodicamente escono infatti sulla stampa e nei blog analisi sulle attività e intenzioni del colosso svedese nell'ambito del naming. Ho pertanto deciso di mettere insieme una piccola rassegna. Quella che segue è una breve selezione, perlopiù da siti esteri. Recentemente anche i media italiani comunque si sono esercitati su IKEA (ad esempio il "Corriere della Sera" qui). 

Dal mio punto di vista IKEA è linguisticamente curiosa per almeno due motivi: se da un lato i suoi nomi fanno discutere e si stanno rivelando un buon vettore per il brand a livello globale, dall'altro le istruzioni di montaggio di molti suoi prodotti hanno quasi del tutto eliminato l'aspetto linguistico. Questo dato è rilevante, perché non era facile spiegare con soli disegni e pittogrammi il procedimento per montare una sedia o mobili più complessi. Mi pare ci siano riusciti egregiamente, con evidenti vantaggi di risparmio sulla carta e sulle traduzioni. Inoltre si evitano certi imbarazzanti tecnicismi che si trovano ad esempio nei fogli delle istruzioni di montaggio di certi mobilifici italiani, dove a volte compaiono termini che nemmeno il negoziante di ferramenta forse conoscerebbe...

- da "CNN Money
- da "Business Insider"
- da "Huffington Post"
- da "Daily Mail"
- da "Today"
- da "QZ"
- da "Flavorwire"

giovedì 9 febbraio 2017

Una scarpa Scarpa

L'altro giorno, ad una fiera, osservavo una scarpa come questa raffigurata a lato: una scarpa Scarpa. Scarpa, per chi non lo sapesse, è un'azienda trevigiana conosciuta in tutto il mondo per la produzione di calzature da montagna, alta quota, escursionismo, scarponi da sci alpinismo, telemark, freeride e arrampicata. Come tutte le aziende di questo settore sportivo sogna anche di fare il passo nel cosiddetto mondo del lifestyle, primo perché è un allungamento di gamma possibile e coerente, secondo perché i numeri del lifestyle sono ben più grandi di quelli di chi pratica telemark o arrampicata. Il passaggio non è proibito o impensabile, basti ricordare casi ormai consolidati come Nike, Adidas e in tempi più recenti Salomon o Salewa, ovvero aziende che producono calzature e altri prodotti, nate specialiste di qualcosa in vari ambiti sportivi e volenterose di passare a presidiare anche il segmento del tempo libero. Anche Scarpa non fa eccezione e qualche anno fa il successo nel mondo lifestyle, inteso come tempo libero, è arrivato con una calzatura denominata Mojito, una scarpa dal look comunque montanaro ma adattato al tempo del cocktail (il naming sembra suggerire proprio questo). Resta il fatto che Scarpa ha superato ormai una certa soglia di notorietà planetaria e arriviamo a vedere certe sue "normali" scarpe con il marchio Scarpa soltanto. Ho pensato a che effetto farebbe un paio di scarpe marchiato "Shoe" ma poi mi sono detto che questi ragionamenti non funzionano per parallelismi. Ho pensato che la cosa - in italiano - può funzionare grazie al fatto che si tratta di un nome al singolare (avrebbe funzionato altrettanto bene al plurale?) e grazie al grande contenuto di ricerca che è riconosciuto all'azienda nei settori più tecnici sopra elencati, che secondo un processo osmotico trasmettono una certa carica ai prodotti lifestyle. Ho anche pensato che un nome è una parola da gestire e si può benissimo gestire un nome come Scarpa se si producono scarpe, anche se le regole del naming dicono che non puoi chiamare Penna una penna. Se ci si astrae per qualche secondo, da un punto di vista marketing, può sembrare buffo osservare una scarpa con scritto Scarpa, ma sarebbe utile piuttosto compiere un'analisi sul percepito del nome Scarpa all'estero, dove l'azienda ha una grande reputazione per indiscussi contenuti di innovazione e qualità. Insomma, è una situazione curiosa questa del naming di Scarpa. 

PS. Ah, Scarpa era nato come acronimo: Società Calzaturieri Asolani Riuniti Pedemontana Anonima. Ogni tanto mi immagino la faccia (soddisfatta?) di chi si inventò questo acronimo così calato nel prodotto.

lunedì 30 gennaio 2017

Titoli come naming dei film (e loro traduzioni): da "L'économie du couple" a "Dopo l'amore"

Un film è un prodotto di cui il titolo rappresenta il naming. Fino a qui credo che siamo tutti d'accordo. Al di là del problema dei doppiaggi, per i quali mi pare si stia sviluppando una sensibilità sempre più acuta, c'è anche un problema di traduzione dei titoli di film stranieri. A volte non si traducono nemmeno, a volte si cerca o viene naturale la traduzione aderente, altre volte si cambia completamente spettro semantico e si vira verso qualcosa di diverso. Sono problematiche note anche nel mondo dell'editoria libraria e, sotto altre forme, già la storia della lingua italiana durante il ventennio fascista era ricca di molteplici aspetti curiosi e significativi che riguardavano le traduzioni dei segni linguistici "importati".

Riflettevo sulla traduzione del titolo del film del regista belga Joachim Lafosse. Mi pare che il passaggio da L'économie du couple originale a Dopo l'amore corrisponda con una scelta interpretativa e di naming abbastanza forte. Il titolo originale è più descrittivo, aderente, tanto che credo di poter fare a meno di spendere qualche riga sulla trama del film. Avrete già capito di cosa si parla, anche se non avete visto il film. Il titolo originale spiega e introduce al tema del film. Il titolo italiano pone l'accento su un amore che c'è stato e su cosa avviene dopo che questo viene meno, sulla fine, sul cosa resta. E soprattutto ficca dentro la parola "amore". Insomma, "il Kramer contro Kramer dei nostri giorni" mi pare abbia trovato in italiano una traduzione quantomeno discutibile. Ma la domanda da farsi è anche questa: avrebbe funzionato un titolo come L'economia della coppia in Italia? Non lo so, ma sarebbe stato interessante provarlo.

lunedì 23 gennaio 2017

Bucaneve e... Bucalove

I noti biscotti Bucaneve di Doria sono proposti ora anche a forma di cuore in imballi cartacei e non soltanto nel tradizionale tubo. Il cambio di forma e anche di packaging è stato accompagnato anche da una sorta di renaming, forse più grafico che effettivo, anche se a tutti gli effetti si tratta di qualcosa veicolato e sottolineato nel packaging. I Bucaneve sono così diventati... Bucalove. A ben vedere sono soltanto due le lettere slittate e modificate ("lo" per "ne"). Non so quanto duratura sia questa parziale azione di ridenominazione, se si stratti di qualcosa di estemporaneo solo per marcare la nuova forma a cuore e se in futuro tornerà il brand storico principale. Al di là di tutte queste riflessioni circostanziali, ancora una volta ricadenti nel solco del food design (vi è infatti una sempre più stretta correlazione tra forma del prodotto e il suo nome, nel settore alimentare) riflettevo che le parole "buca" e "love", prese separatamente, creano un curioso cortocircuito: non è infatti sembre bella la situazione in cui, in amore, qualcuno "dà buca".

domenica 15 gennaio 2017

Da Yahoo! a Altaba

Avrete letto la notizia che vede Yahoo! cambiare nome, con un cambio considerevole di mission e board societario, nell'ambito dell'operazione in corso con Verizon. Yahoo! prenderà il nome Altaba, dovrebbe cedere a Verizon i principali servizi internet e trasformarsi in società di investimenti. Quel che colpisce nel nome Altaba è la vicinanza con Alibaba (la lettera "t" sostituisce "ib" e per il resto i nomi coincidono). Come noto, il colosso asiatico Alibaba con Yahoo! c'entra. Questa notizia ha anche un altro risvolto, perché verrebbe così meno uno dei gloriosi naming della prima generazione di Internet. Non mi risulta che a oggi siano trapelate altre informazioni relativamente alla scelta di questo nome e alle sue motivazioni.

martedì 3 gennaio 2017

Orva!, il nome della piadina

Evidentemente non solo la patatina tira ma anche la piadina, se da qualche tempo assistiamo in televisione a campagne pubblicitarie dedicate a un prodotto come la piadina romagnola. Penso al caso di Orva s.r.l., azienda di Bagnacavallo (Ravenna), che propone una serie di prodotti alimentari per la grande distribuzione tra cui appunto la piadina, la quale - se ricordo bene - era priva di un'identità e storia pubblicitaria. Ma si sa che i consumi cambiano e sono mutevoli, tanto più quelli alimentari. Negli spot dell'azienda si assiste al tentativo di trasformare il nome aziendale e brand in un'esclamazione della lingua (più che di lingua italiana si fa riferimento ovviamente al romagnolo, giocando in chiave regionale anche con l'accento). Il nome dell'azienda, in ambito comunicativo, prevede addirittura la presenza di un punto esclamativo. Insomma, questo di Orva s.r.l./Orva! mi sembra un interessante esempio di come un nome d'azienda possa essere giocato in comunicazione. Anche se la comunicazione pubblicitaria non presenta particolari segni di rottura con la tradizione, è quantomeno significativo il modo in cui un nome dato è trattato. La conclusione che si può ricavare è anche questa: spesso un nome esiste già, te lo trovi pronto e allora tanto vale giocarlo apertamente in comunicazione quando arriva il momento.